Santa Maria Capua Vedere, uffici del giudice di pace al collasso

Santa Maria Capua Vetere, ufficio del giudice di pace al collasso
Santa Maria Capua Vetere, ufficio del giudice di pace al collasso

CASERTA (Giuseppe Tallino) – La carenza di cancellieri per la gestione del carico ordinario di lavoro, il ritardo nella pubblicazione delle sentenze, il guasto, registratosi lo scorso luglio (e non ancora riparato), dell’ascensore che impedisce ad avvocati, giudici e dipendenti con disabilità di poter accedere agli uffici: queste le criticità, segnalate dalla classe forense, che caratterizzano, ormai da troppo tempo, l’ufficio del Giudice di pace di Santa Maria Capua Vetere. E Ugo Verrillo, presidente del Consiglio dell’ordine degli avvocati (Coa) sammaritani, le ha raccolte e inserite in una nota che ha indirizzato a Gabriella Maria Casella, presidente del Tribunale. La speranza del Coa è che con il suo intervento, il ministero della Giustizia si attivi per risolvere i problemi che rendono complicato il lavoro dei legali e che, inevitabilmente, danneggiano pure il servizio che si rende ai cittadini.

Con l’ascensore guasto, ha evidenziato Verrillo, i dipendenti dell’ufficio che hanno problemi fisici “sono costretti portare i fascicoli di udienza a mano e per le scale”. Anche i ritardi nella pubblicazione delle sentenze rappresentano un elemento grave: “Determinano un notevole pregiudizio per le ragioni di giustizia che vengono proposte dinanzi al Giudice di pace”.

Il presidente del Coa, nel documento inviato a Casella, ha sottolineato pureche a S. Maria C.V. “permane la trattazione limitata dei giudizi e che viene imposto l’uso della mascherina in violazione delle attuali disposizioni di carattere sanitario”.

“Le ragioni di giustizia e le esigenze dell’utenza tutta di una gestione serena ed equilibrata dell’ufficio del Giudice di pace di Santa Maria Capua Vetere – ha concluso Verrillo – devono rappresentare il primo obiettivo non solo per l’ente che mi onoro di rappresentare ma anche per la presidenza del Tribunale. Confido in un attento esame della vicenda, ed una presa di posizione risolutiva immediata”.

“Siamo istituti vicini ai cittadini, grave errore depotenziarci”

Le condizioni in cui versa l’ufficio del Giudice di pace di Santa Maria Capua Vetere sono comuni, purtroppo, a tanti altri centri italiani. “Carenza del personale, edifici fatiscenti e processi lenti rappresentano situazioni diffusissime”: a garantirlo è Maria Flora Di Giovanni, presidente dell’Unione nazione dei Giudici di pace (Unagipa). “Già con la riforma che fu fatta dal ministro Orlando il nostro settore è stato oggetto di un forte ridimensionamento che ha inciso soprattutto sul personale di cancelleria. Molti dipendenti – ha evidenziato Di Giovanni – sono stati spostati presso i Tribunali lasciando i nostri uffici sguarniti”. Le risorse per reagire a questa ‘fuga’ di lavoratori, però, ci sarebbero dal 2016: “Erano stati stanziati 10 milioni di euro per dare il via all’iter di telematizzazione degli uffici del Giudice di pace. Se avessimo iniziato subito – ha dichiarato la presidente dell’Unagipa – adesso non ci troveremmo in queste condizioni. Il problema sarebbe stato arginato. Digitalizzare significa potersi muovere con più velocità e soprattutto riuscire a lavorare anche con un numero di unità più esiguo. Sono trascorsi 6 anni e nulla è stato fatto. La nuova riforma dice che entro il 2023 i processi dovranno essere ‘telematizzati’. Speriamo che accada realmente. Ormai percepiamo la chiara volontà di depotenziare i Giudici di pace. E a mio avviso c’è anche scarso impegno ministeriale ad invertire la rotta. Una tensione che è diventata palese quando abbiamo chiesto tutele. Oggi che si spinge con forza per avere un processo veloce, paradossalmente si assiste alla decisione di impoverire il nostro settore”.  La fase più complicata per i Giudici di pace è coincisa sicuramente con lo scoppio della pandemia. “Ed ancora oggi ne paghiamo le conseguenze. Durante l’emergenza sanitaria il numero dei fascicoli che entrava  in udienza era limitato. C’è stato un vero e proprio stop. Stando a quello che dice il presidente Ugo Verrillo, a S. Maria C.V. si chiede ancora che venga usata la mascherina. Ma nei protocolli adesso – ha chiarito Di Giovanni – si consiglia l’uso dei dispositivi di protezione, non c’è l’obbligo”.
Carenza del personale ed effetti del Covid a parte, a pesare sugli uffici sono anche le condizioni (non ottimali) ‘fisiche’ degli stabili. “L’edilizia è una nota dolente. A Santa Maria Capua Vetere l’ordine degli avvocati ha segnalato che non funziona un ascensore, fatto che mette in difficoltà il personale che ha disabilità motorie. Spero che il caso sia stato già denunciato. Adesso con i fondi garantiti dal Pnrr – ha aggiunto Di Giovanni – c’è la possibilità di intervenire su queste strutture. Speriamo che tale occasione non venga sciupata”.
Rendere efficienti gli uffici dei Giudici di pace è una battaglia importantissima: “Sono istituti vinci al cittadino. Dietro ai fascicoli che trattano ogni giorno ricordiamo che ci sono delle persone. Migliorare le condizioni di lavoro, rendere la giustizia veloce è un servizio fondamentale. E per riuscirci – ha concluso la presidente dell’Unagipa – dobbiamo far fronte comune con gli avvocati”. 

Carinola attivo con i contributi dei comuni

Quello di Santa Maria Capua Vetere funziona male. E l’ufficio del Giudice di pace di Carinola rischia addirittura di chiudere i battenti. Le risorse per tenerlo attivo a breve potrebbero finire. Se la struttura è ancora funzionante è solo grazie al sostegno che le viene garantito dalle amministrazioni locali di Mondragone e Carinola. Ma per i Municipi è un periodo complicato. E lo è soprattutto per quello amministrato dal sindaco Giuseppina Di Biasio: Carinola ha dichiarato dissesto finanziario. E’ costretto a stringere la cinghia, a ‘tagliare’. E così non potrà più contribuire, a quanto pare, al suo mantenimento. Falciano del Massico e Francolise, che pure rientrano nell’area che ‘serve’ il Giudice di pace di Carinola, partecipano in minima parte alle spese dello stabile. E da soli, anche se Mondragone dovesse continuare a contribuire, non riuscirebbero più ad offrire ciò di cui necessita l’ufficio per resistere.

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