CASAL DI PRINCIPE – Vuole riprendere la collaborazione con la giustizia. Chi? Francesco Schiavone Sandokan, il capoclan dei Casalesi. Una volontà che ha esplicitato ieri, nel corso del processo dove è imputato insieme a Giuseppe Pagano, collaboratore di giustizia: sono accusati di un agguato di mafia avvenuto nel 1983. A perdere la vita furono Luigi Cantiello, Nicola e Luigi Diana.
Il mafioso avrebbe voluto sottoporsi ad un vero e proprio esame da imputato, cosa che in tutti i processi finora affrontati, mai (a quanto ci risulta) avrebbe fatto. Ma la seconda sezione della Corte partenopea ha rigettato la sua richiesta. Per quale ragione? Non aveva un difensore di fiducia e così gli è stato concesso di rilasciare delle dichiarazioni spontanee. E in questo suo parlare, a tratti molto confuso, affaticato, ha riferito di aver reso 19 interrogatori e non si capacita del motivo per cui è stato poi riportato al 41 bis.
Oltre a riferire l’ipotizzato desiderio di riprendere il percorso di collaborazione, ha parlato anche del triplice omicidio, in relazione al quale ha raccontato che Giuseppe Pagano si sarebbe autoaccusato ingiustamente. Per quanto riguarda la sua posizione, invece, ha ammesso di aver avuto una responsabilità nell’agguato di morte (in primo grado si era professato innocente). Per la prima volta Sandokan ha confessato un delitto.
Restando ancora sul processo, il sostituto procuratore generale, dopo aver ascoltato le dichiarazioni, ha chiesto per il capcolan la conferma dell’ergastolo che era stato disposto dal Tribunale di Napoli (il boss scelse – e anche lì fu una prima volta – di essere giudicato con rito abbreviato).
L’iter di secondo grado riprenderà a fine maggio per le arringhe del difensore di Schiavone, che non è ancora noto, e per l’avvocato Domenico Esposito, che assiste Pagano.
Passando alla vicenda ‘pentimento’, invece, facendo un breve recap, Sandokan iniziò a collaborare con la giustizia a marzo dell’anno scorso. Una notizia che diede molta speranza in chi confidava e confida di poter dichiarare, prima o poi, sconfitto il clan dei Casalesi.
Durante il percorso di collaborazione con la giustizia, lasciò la prigione Emanuele Libero Schiavone, ritenuto dagli investigatori il suo erede criminale. Il rampollo, incontratosi con il padre in prigione, prese le distanze dalla scelta del pentimento e, tornato a Casale, stando a quanto ricostruito dall’Antimafia, si sarebbe rituffato in azioni malavitose, arrivando a scontrarsi con una gang probabilmente connessa ai Bidognetti. E questa compagine era stata vicinissima ad ucciderlo. Probabilmente a ‘salvarlo’ è stato il suo arresto per armi e droga eseguito lo scorso giugno dai carabinieri della Compagnia di Casal di Principe. Dopo un mese si interrompe il percorso di collaborazione di Sandokan, che viene rispedito al 41 bis. Per quale ragione? C’entrava il figlio? Da quanto trapelato dalla Procura di Napoli, ora guidata da Nicola Gratteri, lo stop sarebbe stato determinato dal fatto che quella di Francesco Schiavone si stava rivelando una collaborazione parziale: non avrebbe detto tutto, alcuni aspetti non li avrebbe toccati, come a quanto pare quello della ‘Terra dei fuochi’.
Come leggere questo intervento di Sandokan? Sicuramente il fatto che abbia ammesso di aver partecipato ad un triplice omicidio è una novità, così come il fatto che abbia fatto dichiarazioni spontanee. Sicuramente sono segnali che l’Antimafia valuterà, ma che possano aprire a riprese di collaborazione, a bocce ferme, sembra improbabile. Fa parte di una strategia, l’intervento di ieri del mafioso? Se sì, la Dda sicuramente riuscirà a disinnescarla.
Un effetto che ha dei risvolti positivi tutta questa storia, però, l’ha avuto: il simbolo di quella mafia che ha ucciso, danneggiato, tarpato le ali per anni a Terra di Lavoro, ha perso la sua granitica adesione all’Antistato.
© RIPRODUZIONE RISERVATA