“La Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. E’ un pezzo di carta: la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna, ogni giorno, rimetterci dentro il combustibile; bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità. Per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica. È un po’ una malattia dei giovani l’indifferentismo”. Con queste parole Piero Calamandrei uno dei più illustri padri costituenti, si rivolgeva agli studenti a Milano nel 1955 per illustrare la fondamentale importanza di dare costrutto applicativo alla Magna Carta che era stata redatta per disegnare l’assetto della Repubblica Italiana. Un appello alto e nobile, il suo, che dopo tre quarti di secolo, è rimasto per lo più inascoltato. Quel male che Calamandrei denunciava allora – l’indifferenza alla politica – si è ulteriormente esteso alla maggioranza dei nostri giovani che guardano alle sorti dello Stato con distacco. Un qualunquismo devastante, che si è perniciosamente diffuso anche grazie all’affermazione dei principi farlocchi del Movimento Cinque stelle, di quella rivoluzione da operetta coltivata da gente che non ha un portato culturale ma solo rabbia sociale e desiderio di ripristinare l’assistenzialismo ed il moralismo di bassa lega. Certo i partiti della prima repubblica erano naufragati sotto il peso della pratica correttiva, di uno statalismo che alimentava finanziamenti occulti e clientele. Tuttavia, l’enfasi moralizzatrice ed il predominio della magistratura sulla politica ha creato le condizioni perché fosse buttata via sia l’acqua sporca con il bambino. In pratica: sia la mala che la buona politica, ovvero i partiti che dovevano, per dettato costituzionale, fungere da tramite tra società e Stato. Non meglio è andata la seconda repubblica che ha edificato partiti di plastica intestati a singole persone, privi di riferimento ai valori ed alla storia, aggiungendo in tal modo al male del qualunquismo anche quello del personalismo. In questo deserto è cresciuta la cattiva pianta della diffidenza e della lontananza di intere generazioni per la politica, non più intesa come strumento unico ed indispensabile per governare Stato e società. Sepolta la politica anche la Costituzione è rimasta inattuata, con le sue lacune anacronistiche e priva di aggiornamento per i tempi nuovi. Se la madre di tutte le leggi non viene ancorata alle nuove esigenze, lo Stato resta bolso e ridondante, la burocrazia inetta e parassitaria, il Parlamento praticamente escluso dalla dinamica di formazione delle leggi ormai in mano all’esecutivo di governo. Funzione esecutiva e legislativa si sommano e le assemblee parlamentari si riducono a svolgere il ruolo accessorio di ratifica delle proposte di Palazzo Chigi. Ci si mettano anche l’ingerenza dell’ordine giudiziario, le leggi elettorali farraginose e mutevoli ed ecco il quadro diventa ancor più confuso ed approssimativo. Una condizione da più parti deprecata e denunciata ma che negli ultimi trent’anni è rimasta praticamente ferma al palo, aggravata dalle nuove necessità del paese. In questo vuoto pneumatico si alza forte e chiara la voce del presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che invece di tirare a campare pur di durare, come tanti suoi predecessori, reclama una nuova modalità di elezione delle principali cariche dello Stato. Un lampo nel buio della politica politicante, delle camarille e dei piccoli traffici del potere, che guarda lontano e che lascia intravedere come la formazione politica del premier sia una dote indispensabile per affinare sensibilità e visione di lunga gittata. Personalmente protendo per l’elezione diretta del capo del Governo, detta premierato, al posto di quella del Capo dello Stato, detta presidenzialismo. Il capo dello Stato è il rappresentante dell’unità nazionale e tale funzione è chiamato a svolgere per creare un argine agli interessi ed alle lotte politiche dei partiti. Il premier invece eletto dal popolo, con una sua maggioranza parlamentare, acquisirebbe forza e prestigio tali da potersi sottrarre alle mille richieste ed alle insidie dei ricatti parlamentari. Il richiamo della Meloni rivaluta il primato della politica sulla moda dell’anti politica e dell’ignoranza che ha prevalso in questi ultimi decenni in Italia. Che sia la Meloni l’erede di Calamandrei dovrebbe far riflettere anche chi quella tradizione ha abbandonato negli anni. Sopratutto a sinistra.