SANT’ANTIMO – Droga e armi per il clan Verde, 9 arresti. E’ quanto emerso a conclusione di un’indagine portata avanti dai carabinieri del Nucleo Operativo della Compagnia di Giugliano e coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia partenopea che ha portato il gip del tribunale di Napoli Leda Rossetti ad emettere sette ordinanze di custodia cautelare in carcere e due ai domiciliari. Associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti e detenzione e porto illegale di armi comuni di sparo, aggravati dalle finalità e modalità mafiose, i reati per i quali è stata eseguito il provvedimento. In realtà la Dda napoletana – pm Antonella Serio e Giuseppina Loreto – aveva chiesto il carcere per 40 persone e i domiciliari per un’altra persona, ma il giudice ha rigettato non ritenendo la sussistenza delle esigenze cautelari per le ipotesi di reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, scambio elettorale politico-mafioso, un’estorsione e diversi episodi di spaccio e di armi. Le indagini, svolte da marzo a dicembre 2019, hanno consentito di evidenziare l’operatività di due distinti gruppi, uno facente capo ad Angelino Armando, di 38 anni e l’altro con a capo Antimo Ceparano, 49enne, entrambi di Sant’Antimo. Le attività investigative hanno permesso inoltre di raccogliere diversi elementi in merito alla disponibilità di armi da fuoco di vario genere. Nel corso dell’inchiesta sono stati recuperati e posti sotto sequestro diversi quantitativi di droga tra hashish, cocaina e marijuana, nonché armi di vario tipo ed ordigni esplosivi artigianali. L’indagine, infatti, trae origine da una serie di attentati dinamitardi realizzati a Sant’Antimo ai danni di attività commerciali e di private abitazioni, tutte riconducibili a persone legate da vincoli di parentela con la mala locale. A Ceparano, nello specifico, è contestato di essere al vertice del sodalizio dedito al traffico di droga: i fatti vanno da dicembre del 2018 a gennaio 2020. Per l’Antimafia sarebbe stato a capo del gruppo nonostante si trovasse ai domiciliari. A febbraio del 2019, invece, sarebbe stata ‘scoperta’ a Grumo Nevano una partita di 145 grammi di hashish e 540 grammi di cocaina, destinata a rifornire le piazze di spaccio della zona. Un altro episodio, invece, è stato consumato a Sant’Arpino, piccolo centro che rientra nella provincia di Caserta, dove i militari dell’Arma della compagnia di Giugliano sequestrarono 20 grammi di cocaina arrestando in flagranza una persona. Fondamentali per l’esito delle indagini si sono rivelate le intercettazioni telefoniche, dalle quali sarebbe emerso in maniera singolare come gli indagati chiamavano la droga. La decodificazione del linguaggio è stata resa più semplice alla luce delle conversazioni nelle quali i protagonisti facevano più esplicito riferimento alla sostanza richiesta, alla sua quantità, o discutevano della scarsa qualità dello stupefacente (“sembra farina… sembra aria compressa… zero proprio zero…” ) o ne indicavano il prezzo dello stesso. In qualche circostanza, infatti, i clienti avrebbero contattato il pusher per protestare per la scarsa qualità della droga acquistata: “Brucia brucia” la lamentela di un cliente sottolineando il bruciore avvertito alle narici. Qualcun altro, invece, avrebbe insistito per comprare il ‘pallino’ di cocaina ‘a credito’, nonostante la necessita di prenderla “per andare a ballare”.
L’arsenale in un garage al centro di Casoria
Numerose le armi in dotazione ai gruppi smantellati all’alba di ieri dal blitz dei carabinieri di Giugliano. Le armi servivano per le azioni di fuoco e per mostrare i muscoli nei casi di necessità, come ad esempio in circostanze di resistenza dei negozianti al pagamento del pizzo. Nel corso di una perquisizione eseguita nel giugno di tre anni fa a Casoria, nei pressi dell’ospedale cittadino, i militari dell’Arma scoprirono un vero e proprio arsenale nascosto in un garage in via Marco Rocco. Un ritrovamento fondamentale ai fini dell’inchiesta. Gli investigatori sequestrarono una pistola revolver di colore nero calibro 357 Magnum, una busta in cellophane trasparente sigillata a caldo contenente un panno di colore bianco che avvolgeva un revolver di colore grigio avente matricola punzonata, perfettamente funzionante; una busta in cellophane trasparente sigillata a caldo contenente un panno di colore bianco che avvolgeva una pistola di colore nero calibro 7,65 marca Bernardellî modello 60 semiautomatica avente matricola abrasa con relativo caricatore, perfettamente funzionante; un caricatore da 12 colpi di colore nero per un arma di calibro 765 semiautomatica; 38 proiettili calibro 765; tre proiettili calibro 357 Magnum; un ordigno esplosivo artigianale composto da un involucro di colore marrone con relativo innesco, lo stesso presentava etichetta riportante la dicitura ‘pericolo’ indicazione di pericolo esplosivo pericolo di esplosione di massa avente un codice; una pistola di colore nero Cai. 7,65 marca Pietro Peretta modello 70 semiautomatica avente matricola punzonata con relativo caricatore, perfettamente funzionante (rinvenuta su un soppalco presente nel box); una busta in cellophane trasparente contenente 60 proiettili calibro 9×21 e un proiettile cal. 357 magnum (rinvenuti su un soppalco presente nel box). Il materiale fu recuperato il 13 giugno 2019 e in quella stessa occasione i carabinieri procedettero all’arresto di Ida Mennetta e di un’altra donna non coinvolta nell’inchiesta culminata nel blitz di ieri mattina, ma parente di un uomo indagato. A entrambe fu contestata l’aggravante di aver commesso il fatto alfine di agevolare le attività dell’organizzazione camorristica del clan Verde.
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