Una nuova indagine di Greenpeace ha confermato i timori sulla sicurezza dei prodotti di Shein, il gigante del fast fashion. Nonostante le rassicurazioni fornite in passato, l’azienda continua a immettere sul mercato capi di abbigliamento contenenti sostanze chimiche pericolose, in violazione delle normative europee.
Già nel 2022, un’analisi dell’organizzazione ambientalista aveva rilevato la presenza di composti tossici al di sopra dei limiti legali in 7 dei 47 prodotti testati. Di fronte a quei risultati, Shein si era impegnata a migliorare la gestione delle sostanze chimiche. Per verificare il rispetto di tali promesse, Greenpeace ha condotto un nuovo studio, denominato “Shame on you, Shein!”.
Sono stati acquistati 56 articoli, tra abbigliamento e calzature, dai siti web di Shein in otto Paesi, tra cui l’Italia. I campioni sono stati poi analizzati da un laboratorio indipendente. I risultati sono stati definiti allarmanti: la contaminazione da sostanze chimiche pericolose persiste, dimostrando l’inefficacia dell’autoregolamentazione volontaria dell’azienda.
Tra le sostanze individuate figurano gli ftalati, composti chimici collegati a problemi di crescita, fertilità e sviluppo infantile, oltre a essere tossici per la vita acquatica. Sono stati trovati anche i PFAS, noti come “sostanze chimiche eterne” per la loro persistenza nell’ambiente. Questi composti contaminano le risorse idriche e possono compromettere il sistema immunitario, la funzionalità epatica e renale, e aumentare il rischio di disturbi metabolici.
Particolarmente preoccupante è la presenza di metalli pesanti. Il piombo è risultato presente in alcuni campioni: questo elemento è estremamente dannoso per i bambini, poiché può influenzare lo sviluppo cerebrale, il quoziente intellettivo e il comportamento. Il cadmio, un potenziale cancerogeno, può danneggiare reni, polmoni e il sistema cardiovascolare.
L’elenco include anche gli alchilfenoli etossilati, che si scompongono in composti tossici per gli organismi acquatici, interferendo con il loro sistema ormonale, e la formaldeide, un irritante classificato come potenziale cancerogeno in grado di causare danni al DNA.
Il successo di Shein si basa su un modello di sovrapproduzione aggressiva. Con oltre mezzo milione di modelli disponibili online, venti volte la gamma di concorrenti come H&M, l’azienda incentiva l’acquisto compulsivo tramite un marketing martellante su piattaforme come TikTok e Instagram, rivolto soprattutto ai consumatori più giovani. I prezzi stracciati nascondono un costo altissimo per l’ambiente e per la salute dei lavoratori.
Il poliestere, una fibra di plastica derivata da combustibili fossili, costituisce l’82% dei tessuti utilizzati, e le emissioni di gas serra dell’azienda sono quadruplicate negli ultimi tre anni. Nonostante le multe e le violazioni delle normative, Shein continua a sfruttare scappatoie doganali per eludere i controlli sulle sostanze chimiche e contribuire alla crescita esponenziale dei rifiuti tessili.
Le analisi dimostrano che l’approccio volontario alla gestione chimica adottato da Shein è fallimentare. L’azienda si è rivelata incapace di controllare le filiere produttive e garantire la sicurezza dei prodotti venduti sulla sua piattaforma.
Per fermare questo modello insostenibile, che mette a rischio la salute delle persone e devasta l’ambiente, sono necessarie leggi precise e vincolanti. Secondo gli attivisti, solo un intervento normativo rigoroso potrà costringere i colossi del fast fashion a passare a un modello di produzione più responsabile e a eliminare definitivamente le sostanze pericolose dai loro articoli.





















