Signori, andatevene

Vincenzo D'Anna

Non sono mai stato propenso a reclamare soluzioni drastiche, convinto come sono che un pessimo governo sia sempre migliore di un ottimo dittatore. La democrazia parlamentare, quella tanto deprecata dal popolo dei social, ha le sue regole e la sua importanza. Non si liquida un Parlamento per facezie politiche o per ambizioni elettorali. Questa dovrebbe essere regola aurea per tutti. Insomma non ho mai visto con simpatia le richieste scriteriate di massaie inferocite o leoni da tastiera che ogni giorno elevano a rimedio di tutti i mali il licenziamento in toto della classe politica. Men che meno ho digerito la demagogia grillina che suggeriva un farlocco metodo assembleare permanente attraverso il quale chiunque avrebbe potuto governare la Nazione. La teoria di aprire il Parlamento, considerata la sede e l’origine di tutti i mali, come una scatoletta di tonno, è stata una delle boutade pentastellate più gettonate degli ultimi tempi, salvo poi rivelarsi per quella che era: una manifestazione di ignoranza politica e costituzionale. Non è dato sapere cosa sia rimasto di quel grumo maldicente e violento che imperversava sulla rete, oltre che sui giornali che tenevano bordone ai grillini, e quanta postuma resipiscenza abbia permeato il muro degli odiatori sociali (manettari e forcaioli), degli ipocriti (clienti orfani delle prebende) e dei redditi senza lavoro (questuanti travestitisi da rivoluzionari). Tuttavia gli esempi e le contraddizioni comportamentali, la negazione dei principi etici che sono venuti in questi ultimi anni da parte del M5S, partito di maggioranza relativa in parlamento, dovrebbero aver fatto riflettere gran parte dei furbi e dei buontemponi che pure li avevano votati. Se c’è  una causa, prima e vera, alla base della crisi del governo Draghi è proprio l’implosione di quel movimento e il crollo della demagogia sulla quale esso è stato costruito e proposto agli elettori. Sia chiaro: non è tanto migliore la posizione ed il rendiconto degli altri “partiti personalizzati” che nel corso della legislatura hanno contravvenuto più volte agli impegni e alle posizioni assunte in campagna elettorale. Sissignore, comprendo, tra questi, anche Fratelli d’Italia che, pur continuando a predicare l’unità del centrodestra, nel contempo ha lavorato per erodere voti a Salvini e Berlusconi così da cambiare i rapporti di forza all’interno della coalizione. L’unico modo per riuscirci? Una politica urlata e parolaia, in un partito, quello della destra italiana, ove si accede ai vertici per cooptazione oppure per “affinità” con Giorgia Meloni, che propone una politica vecchia, con un profluvio di parole e l’imitazione dei gesti e degli accenti di Giorgio Almirante. Insomma un marasma generalizzato dove non fa eccezione il centrosinistra, con il Pd che bada ad occupare e gestire posti di governo e di sottobosco parlamentare con la stessa perizia dei dorotei democristiani di una volta. Restava il prestigio di Mario Draghi, presso il mondo della finanza internazionale e le cancellerie europee, oltre che la fiducia che il Capo dello Stato nutriva nei confronti dell’ex governatore della Bce. Anche questa si è logorata dopo la debacle di “Super Mario” che non è riuscito a conquistare il Colle. Il resto lo ha fatto la crisi economica imperante (leggi: inflazione e caro bollette). Tra l’altro, a far cessare il clima idilliaco che fino a qualche mese fa imperava a palazzo Chigi, ha contribuito non poco anche il fatto che il Pnrr abbia completato la fase progettuale e la torta miliardaria sia già stata spartita, facendo venir meno gli inconfessati obiettivi dei partecipanti al governo di unità nazionale. La recrudescenza del Covid e i limiti della vaccinazione di massa, che non eradica il morbo ma lo attenua sensibilmente, l’impossibilità di poter arginare la congiuntura con continue elargizioni, riuscire a mantenere alti i livelli di incremento del Pil e di ripresa economica, hanno derubricato gli elementi distintivi di alto livello politico del mandato di Draghi. Resterebbe da gestire un esecutivo “balneare” che accontenti i leader riottosi nel preparare la campagna elettorale con provvedimenti utili a soddisfare i blocchi sociali ed elettorali di riferimento. Roba di minimo cabotaggio, non certo confacente al prestigio ed alla pretesa di lasciare un significativo segno di cambiamento da parte del “superbanchiere”. Insomma uno scadimento dell’immagine del primo ministro e del suo governo. Resterebbe il disbrigo degli affari della bottega partitocratica, non certo della politica che vola alto. Poiché non sempre i mali vengono per nuocere, se i bottegai dovranno risalire in sella al governo del Paese meglio farlo con la legittimazione del voto popolare, per quanti dubbi di buon senso esso possa suscitare. Prolungare un’agonia e la campagna elettorale di ben otto mesi sarebbe da evitare e quindi non resta che dire: signori, andatevene e la parola torni agli italiani.

*già parlamentare

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