CAIVANO – Spaccio di stupefacenti, sette indagati a piede libero, altrettanti in cella e uno ai domiciliari. Sono i numeri dell’inchiesta, coordinata dalla Procura di S. Maria Capua Vetere, che ha puntato a colpire una rete di pusher attiva nella zona calatina, a Capodrise e a Napoli Nord. Sono finiti in prigione Antonio Angelino, 32enne di Caivano, Luigi D’Isa, 45enne residente ad Orta di Atella, Raffaele Angelino, 31enne di Caivano, Salvatore Attanasio, 37enne di Grumo Nevano, Fabrizio Colamonici, 24enne, Raffaele Cioffi, 49enne, e Angelo Sacco, 55enne, tutti di Maddaloni. Francesco Piccolo, 30enne di Capodrise, figlio del boss Gaetano Piccolo ’o ceneraiuolo, è agli arresti in casa. Non sono sottoposti a misure cautelari, invece, Gelsomina Caiazzo, 31enne di Orta di Atella, Francesco Della Peruta, 35enne, Michele Di Caprio, 39enne, Antonio Rubino, 30enne, tutti di Maddaloni, Filippo Suppa, 39enne di San Felice a Cancello, e Roberta Venieri, 34enne di Caivano. A coordinare l’inchiesta, condotta dai carabinieri della Compagnia di Maddaloni, è il pubblico ministero Iolanda Gaudino.
Ad innescare l’attività investigativa è stata una segnalazione anonima giunta ai militari dell’Arma che indicava Michele Di Caprio come presunto gestore di una piazza di spaccio a Maddaloni. Gli investigatori decisero di monitorare la sua abitazione situata in via Appia. E proprio nei pressi di quella casa dall’aprile al maggio 2020 fermarono tre persone, tutte trovate in possesso di cocaina e contanti.
A seguito di quei controlli venne dato inizio all’attività di intercettazione delle utenze in uso a De Caprio e ai tre sorpresi con lo stupefacente. E ascoltando le loro conversazioni (estendendo il monitoraggio dei telefoni, gradualmente, anche ad altre persone), i carabinieri sono riusciti a tracciare la presunta rete di spacciatori smantellata con gli arresti eseguiti ieri.
Proprio grazie alle conversazioni ‘ascoltate’ sono emerse, ha sostenuto il gip che ha disposto i provvedimenti cautelari, gli elementi che provano l’esistenza di “un’intensa attività dispaccio”. E a dare supporto alle frasi ‘ascoltate’ hanno contributo anche le perquisizioni e i sequestri operati dai carabinieri, i verbali di sommarie informazioni raccolte e le ricognizioni fotografiche.
Quella messa in piedi dagli indagati sarebbe stata una vendita di narcotici ‘itinerante’. Gli investigatori sono arrivati a documentare anche una cessione di cocaina avvenuta a Mondragone. Nel corso delle indagini sono state segnalate alla Prefettura 18 persone trovate in possesso di droga, messi sotto chiave ingenti quantitativi di cocaina, hashish, marijuana e crack, accertati complessivamente 350 episodi di spaccio e arrestato anche un pusher in flagranza di reato.
La droga veniva comprava a Caivano e rivenduta nelle piazze casertane.
Nel collegio difensivo gli avvocati Nicola Musone, Michele Ferraro, Giuseppe Tuccillo e Aldo Tagliafierro.
Nella piazze del Casertano la roba dell’area nord di Napoli
Tra gli arrestati c’è Francesco Piccolo: il clan Belforte di cui ha fatto parte il papà Gaetano (nella foto a sinistra), ora al 41 bis, nell’inchiesta sullo spaccio maddalonese che lo ha travolto (e messo ai domiciliari), non c’entra. I carabinieri hanno documentato numerose cessioni di droga ma tutte svincolate dalla criminalità organizzata.
Durante l’attività investigativa, la figura di Francesco Piccolo è saltata fuori mentre i militari stavano monitorando l’utenza di Filippo Suppa. Era quest’ultimo, sostiene la Procura di S. Maria Capua Vetere, a contattare il figlio di ‘o ceneraiuolo per incontrarsi con l’obiettivo di comprare droga: “Ci possiamo vedere al volo?”. E gli chiedeva quantità senza mai specificare di cosa: “Uno e mezzo”, “Tre”.
Gaetano Piccolo ’o ceneraiuolo, 61enne, è un esponente di spicco della cosca dei Belforte (Mazzacane), compagine mafiosa diretta dal capoclan Domenico (nella foto a destra) che controlla criminalmente l’hinterland marcianisano, parte di Caserta ed è stata capace di distendere i suoi tentacoli fino all’area maddalonese. Se nei mesi scorsi il guardasigilli Marta Cartabia ha deciso di tenerlo al 41 bis e per le relazioni inviategli da Dda, Dna, Dia e Viminale. Leggendo quegli atti è emerso che il gruppo mafioso a cui è legato ’o ceneraiuolo è “attualmente attivo e presente sul territorio”, la sua potenzialità organizzativa “non è venuta meno” e non si sono registrare neppure “condotte del detenuto che lo hanno posto in conflitto con la sua appartenenza” alla gang. Sintetizzando non è stata riscontrata “l’intenzione del Piccolo di recedere dal gruppo camorristico o di avviare un rapporto di collaborazione con la giustizia, né tantomeno vi sono cenni di disgregazione del clan”.
Il curriculum criminale di ’o ceneraiuolo è corposo: inizia nel 2011, quando venne raggiunto da un’ordine di esecuzione pena a 29 anni di carcere per omicidio e tentato omicidio. Prosegue nel gennaio 2012 con un altro provvedimento di esecuzione in base al quale deve scontare altri 13 anni e mezzo per estorsione. Due mesi dopo la Procura generale di Napoli gli comunicò che avrebbe dovuto espiare ulteriori 25 anni per omicidio e l’anno successivo altri 30 anni per un altro assassinio. Sangue su sangue. E sempre omicidio è la tipologia di reato di cui si è macchiato che nel 2014 gli è costata una condanna definitiva a 18 anni e 8 mesi e nel 2016 un verdetto a 20 anni. Un tentato assassinio, invece, nel 2017 gli ha fatto incassare 12 anni di carcere. Nel 2015 ancora 11 anni e 4 mesi per la sua partecipazione al gruppo Belforte. L’ultima condanna risale al giugno 2019: pure in questo caso è stato ritenuto colpevole di omicidio incassando 20 anni di carcere. Per la Dda la sfilza di reati commessi traccia inevitabilmente il suo profilo criminale di primo livello avuto nella compagine dei Mazzacane, storicamente contrapposta alla cosca dei Piccolo, dedita a taglieggiare i commercianti e a trafficare droga.
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