L’ombra lunga di Peron

La campagna elettorale è ormai conclusa e il cosiddetto “popolo sovrano” si accinge ad esprimere il proprio voto. Diciamocela tutta: quella appena conclusa è stata una campagna sotto tono: pubblicità ridotta al minimo, manifesti elettorali (che, in altre simili contingenze invadevano ogni spazio) quasi inesistenti, e nessun confronto-scontro diretto tra i leader dei partiti. Per ciascuno di questi ultimi sono state fatte girare, sui soliti social, le varie agiografie canzonatorie ed i collage di dichiarazioni rese tempo addietro dai medesimi ma poi puntualmente disattese. Insomma: più dileggio che duelli (e meno soldi da spendere). Viceversa hanno ben funzionato i talk show televisivi con le numerose comparsate dei capi partito, anche queste incentrate attorno a slogan rivolti alla pancia degli elettori (caro bollette, sgravi fiscali, redditi di cittadinanza, aumento di pensioni e salari minimi, ingerenze esterna  di Putin) senza però un briciolo di ampia prospettiva, protesa al futuro. D’altronde se lo spessore culturale e politico della maggior parte dei protagonisti della scena è basso, non ci si poteva aspettare null’altro di diverso. A voler enucleare il concetto più utilizzato e ripetuto dai vari leader scesi in campo, spicca la questione energetica e quella assistenziale. Tuttavia, anche perfidia e veleno sono stati protagonisti. Dal centrosinistra si è detto e fatto di tutto per insinuare che Salvini, Meloni e Berlusconi fossero simpatizzanti di Putin e che la caduta di Mario Draghi fosse stata il frutto delle ingerenze russe su questi stessi politici. Non a caso la leader di FdI ha dovuto più volte ribadire che scelta atlantica (leggi Nato) e sostegno al popolo ucraino erano indiscutibili. Allo stesso tempo è alquanto beffarda la storia che inverte le posizioni con il centrosinistra che gareggia con la destra a chi sia più filo statunitense ed avverso al Cremlino. Altro veleno è stato sparso, questa volta dal centrodestra, ove la Meloni ha rinfacciato ai partiti dell’altra sponda di essere stati per un decennio al potere accusandoli quindi di essere all’origine dei non risolti problemi che oggi affliggono la Nazione. Dimentica la “pasionaria” post missina che i suoi alleati – Lega e Forza Italia in primis – sono stati spesso partecipi della compagine governativa, prima di indossare le vesti immacolate degli oppositori. Insomma: letture unilaterali del passato e nessun accenno alle cose del futuro, almeno quelle decisive per un reale cambio di rotta. Per capirci: non una parola  è stata spesa sul bilancio fallimentare dello Stato e sul suo risanamento, niente sulla riforma costituzionale e su quella elettorale senza le quali non cambierà mai seriamente nulla. Se questo è stato, per sommi capi, il tenore della campagna elettorale, quelli che si recheranno alle urne voteranno per la riduzione delle bollette, per mantenere il reddito di cittadinanza, per ottenere un risparmio sulle tasse (quanti effettivamente le pagano) e con la prospettiva che torni la stagione dei condoni. Poiché in politica il mezzo qualifica il fine da raggiungere, se queste sono state le argomentazioni, il risultato sarà  un esecutivo che volerà basso su quegli stessi argomenti. Insomma: siamo scesi al livello di una campagna elettorale di periferia, dove invece dei fatti si commentano le persone e la posta in gioco di decide sui singoli problemi dei clienti e dei gruppi elettorali. Se al posto del popolarismo, filosofia politica che richiama il liberalismo ed il liberismo economico ben temperato, coniugato con uno stato minimo e solidale, si diffonde, come prassi, il populismo accattone che elegge il Parlamento e questi un governo da piccolo cabotaggio, non ci sarà scampo per nessuno. Il rimedio di questo male propalato per dimensionare la politica alle mezze calzette ed alla demagogia spicciola, potrebbe venire solo da un altro tipo di politica. E se la crisi è di sistema, ovvero continui governi traballanti che tirano a campare, queste stesse crisi abbasseranno mano a mano il livello degli argomenti della  competizione e quello degli eletti. Non bisogna scomodare Aristotele o Platone per ricordare che la democrazia può trasformarsi in qualunquismo di massa, ricerca della soluzione miracolosa dei problemi ed attesa dell’uomo della provvidenza. Ma questo non dipenderà da rigurgiti neo fascisti o dalla Meloni a Palazzo Chigi, bensì dal progressivo scadimento delle aspettative sociali, dal moralismo farlocco delle élite che intendono assumere il potere in nome dell’anti-politica e non della capacità di governare. Insomma un modello che in Argentina, ed in genere in America Latina, ha visto, per un decennio, al potere, Juan Battista Peron, generale e politico. Il peronismo fu un  movimento talora definito populista, che univa   socialismo, patriottismo e terza via economica tra capitalismo e socialismo. Un regime conservatore e demagogico  sul piano etico ed ideale. Un’ombra lunga che si intravede purtroppo  anche sul Belpaese.

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