ORTA DI ATELLA – Sono indiziati di tentata estorsione per un grosso quantitativo di droga che sarebbe sttao sottratto da un altro dei coinvolti nell’inchiesta. Sette chilogrammi di stupefacente quelli che mancavano. Salvatore D’Ambrosio e Mariglen Lazri unitamente ad un’altra persona di nazionalità albanese non identificata si sarebbero presentati in casa di Domenico Feola. Volevano la droga indietro. In alternativa c’era il pagamento della somma di 35mila euro. “In caso contrario lo avrebbero ucciso” si legge negli atti d’indagine. La droga, consegnata a Orta di Atella, fu poi richiesta a Trentola Ducenta, luogo in cui Feola abita. Lazri, di Orta di Atella, lo scorso 30 novembre fu coinvolto nell’operazione contro il gruppo vicino al clan Silenzio del ‘Bronx’ di San Giovanni a Teduccio. Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli, su richiesta della Dda, ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 26 persone, ritenute gravemente indiziate di partecipazione ed associazione per delinquere di tipo mafioso e di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. L’arrasto di ieri per D’Ambrosio e Lazri è scattato anche per via della loro capacità, sostiene il gip, di reperire e movimentare un elevatissimo quantitativo di droga così come allarmanti appaiono le modalità poste in atto per il recupero della droga. Lazri, per la Dda di Napoli, graviterebbe in ambienti della criminalità organizzata. Nell’inchiesta che portò agli arresti di novembre la Dda lo delinea, con altri, come persone che avrebbe collaborato e promosso la gestione del sistema delle piazze, provvedendo al loro rifornimento, al trasporto dello stupefacente e al ritiro dei corrispettivi, al confezionamento, alla vendita, nonché al recupero delle quote settimanali imposte agli spacciatori operanti sul territorio ed alla contabilità dell’organizzazione. Il clan Silenzio si era organizzato e strutturato per fare del traffico di sostanze stupefacenti un’attività redditizia non solo a San Giovanni a Teduccio ma anche in altre zona della città. Infatti il sodalizio riforniva le ‘piazze di spaccio’ del rione Case Nuove e dei quartieri di Barra e Secondigliano. Per la Dda il gruppo dei Silenzio avrebbe “promosso, diretto, organizzato e finanziato l’associazione dedita al traffico di stupefacenti, occupandosi in particolare, dell’approvvigionamento della sostanza stupefacente destinata ad essere commercializzata al minuto nelle piazze di spaccio ‘autorizzate’. Nell’inchiesta di ieri invece agli indagati non vene contestata alcuna aggravante mafiosa e tantomeno l’associazione a delinquere finalizzata allo spaccio. L’inchiesta portata avanti dai carabinieri su delega della procura ha fatto luce su numerosi episodi di cessione di droga. Feola, dopo l’episodio delle minacce di morte, raccontò l’accaduto ai carabinieri. Fu da quell’episodio che scattò l’allarme e una serie di episodi sporadici di vendita di droga furono riuniti e investigati come facenti parte di un unico disegno criminoso. Gli indagati in meno di tre mesi di indagini benché privi di una vera e propria struttura organizzata, risultavano estremamente operativi con centinaia di conversazioni telefoniche giornaliere, tutte con una durata brevissima di 10-40 secondi e finalizzate a definire il numero di dosi e la località di incontro con il pusher che provvedeva alla consegna. Le attività di osservazione e di pedinamento della Polizia Giudiziaria a cui conseguiva, in alcuni casi anche il sequestro della droga, consentivano di accertare una fiorente attività di distribuzione di piccole dosi, non più di 20 da 0.30 grammi ciascuna ed un numero elevato di cessioni quotidiane fino a raggiungere circa 100, pari a 70 euro per grammo ed a un chilogrammo al mese circa per un valore di 70mila euro mensili. Nell’inchiesta di ieri sono stati coinvolti anche il padre dell’atto di Gomorra Vincenzo Sacchettino, Pasquale Sacchettino, e il fratello Raffaele Sacchettino. Sono anche loro agli arresti domiciliari.
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Spaccio tra Napoli e Caserta. Minacce di morte per la droga rubata
Per la Procura Salvatore D’Ambrosio e Mariglen Lazri avrebbero chiesto a Feola la restituzione di sette chili di stupefacente