Abbiamo già abbondantemente analizzato, commentato e documentato il progressivo scadimento della qualità politica che caratterizza la nuova classe dirigente italiana. Abbiamo più volte parlato, da queste stesse colonne, del fallimento delle “buone intenzioni”, del tradimento e dei voltafaccia delle promesse fatte agli elettori e dell’inconsistenza del moralismo con il quale, per anni, si sono portate avanti le campagne di criminalizzazione delle istituzioni parlamentari (e dei loro rappresentanti). Si, proprio quelle istituzioni che si dovevano radicalmente trasformare aprendole come “scatole di tonno”, insieme all’abbandono di tutti i benefici e dei privilegi che venivano attribuiti alla cosiddetta “casta”. “Parole, parole, parole” cantava Mina.
Tutto cancellato nel breve volgere di un biennio. Tutto risolto dando in pasto agli sciocchi ed ai qualunquisti il roboante “taglio dei parlamentari”, una specie di drappo rosso da mostrare al classico toro di turno perché ritrovi cattiveria e carichi a testa bassa la mala politica del passato. Ma non basta. Quel che più indigna e delude di questi epigoni del moralismo politico – in realtà rivoluzionari da operetta – è la spudoratezza del linguaggio e quella degli atteggiamenti. Non ricordo epoche politiche del passato nel corso delle quali il trasformismo sia stato utilizzato con tanta faccia tosta così come accade ai giorni nostri. Protagonisti di primo piano della scena politica nazionale quelli che il giorno prima spergiuravano che giammai avrebbero fatto la tal cosa, salvo poi farla, puntualmente, 24 ore più tardi, giustificandola con un sopraggiunto “stato di necessità”.
Ben due governi in due anni, antitesi l’uno dell’altro, con lo stesso presidente del Consiglio e lo stesso partito di maggioranza, il M5S, rappresentano un vero e proprio evento storico. Spudoratezza, faccia tosta, mancanza di qualunque coerenza e ritegno sono ormai i tratti distintivi della cosiddetta politica del cambiamento. Roba per buontemponi, per nuovi affaristi e per vecchi leader riciclati. Ora, che anche un leader, apprezzato per la rude espressività e la ironica chiarezza, come Vincenzo De Luca, governatore in quota Pd della Campania, abbia chiamato al tavolo di discussione il M5S può considerarsi un esempio di scuola, la testimonianza dei tempi che stiamo vivendo.
Dopo aver beffeggiato in ogni modo la pochezza politica e culturale dei leader del MoVimento, ironizzato sulla loro inoperosità di sfaccendati, sottolineato l’inutilità di una presenza dei pentastellati tra i banchi del consiglio regionale, appare spudoratissima l’apertura del primo inquilino di palazzo Santa Lucia al dialogo con i grillini. A ben vedere, però, si tratta, di una ritorsione alla mossa del segretario dem Nicola Zingaretti che ha annunciato il ricambio di tutti i candidati alla carica di governatore del suo partito che abbiano già amministrato le rispettive regioni. Magari anche bene. Una mossa, quella del segretario del partito del Nazareno, molto vicina all’idiozia. Incomprensibile, dissennata ed autolesionista. Ma dovuta al fatto di ritrovarsi prigioniero dei voti dei “dante causa” Franceschini e Guerini che spingono, da parte loro, per realizzare un’intesa organica per le regionali tra Pd e 5S. Ed è per questo che De Luca deve essere dato in pasto ai Cinque Stelle. Perché ha assunto, in passato, posizioni di scontro e di dileggio nei confronti dei politici del movimento di Grillo. De Luca è indigesto ed inadeguato come punto di mediazione tra i due ex nemici. Va fatto fuori.
Il che significa svendita dei propri uomini da parte di un Pd in preda al trasformismo ed alla frenesia opportunistica impegnato, com’è, a fronteggiare la furba scissione di Renzi. E tuttavia De Luca sbaglia a ripagare i suoi detrattori interni utilizzando analoga incoerenza politica, funambolismo incomprensibile per chiunque abbia ne ascoltato, in tutti questi anni, le invettive e gli sberleffi indirizzati ai grillini. Certo questa è l’epoca del mercato delle vacche grasse e della spudoratezza ma non è detto che la gente premi questo caravanserraglio. Insomma, lorsignori possono anche trattare gli elettori come utili idioti, grazie al sistema proporzionale che ha spogliato i cittadini dal potere di scegliere maggioranze di governo, premier e programma, come avveniva col maggioritario. Un sistema che lasciato ai partiti mano libera ed assoluta discrezionalità per il dopo elezioni. Possono farlo se vogliono, ma ricordino: nessun sistema politico potrà mai cancellare la memoria degli elettori e trasformare il fango che si sono lanciati in petali di rosa.