Stellantis prende i soldi dello Stato e scappa all’estero

L’amministratore delegato di Stellantis, Carlos Tavares e John Elkann

NAPOLI – Vogliono altri soldi, gli Agnelli/Elkann. Soldi pubblici, pagati con le nostre tasse, per tenere aperte le linee produttive in Italia. Altro denaro dopo aver già ricevuto, secondo Milano Finanza, 220 miliardi di euro in 40 anni (il valore attuale di Stellantis sul mercato arriva a 65 miliardi). E dopo aver già trasferito le sedi legali e buona parte della produzione all’estero.
Un’accesa polemica vede protagonisti in questi giorni il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso e l’amministratore delegato di Stellantis, Carlos Tavares (a destra con Elkann, foto Lp). Uno scontro che ha messo in luce qualche crepa, nel finora granitico e proficuo (per Stellantis) rapporto tra lo Stato e le aziende della famiglia Agnelli/Elkann.
Ad aprire le danze è stato proprio Tavares che, all’agenzia Bloomberg, ha affidato una dichiarazione dal sapore ricattatorio: “L’Italia – ha affermato – dovrebbe fare di più per proteggere i suoi posti di lavoro nel settore automobilistico anziché attaccare Stellantis per il fatto che produce meno nel nostro paese. Un capro espiatorio per evitare di assumersi la responsabilità per il fatto che se non si danno sussidi per l’acquisto di veicoli elettrici, si mettono a rischio gli impianti in Italia”. Tradotto, o ci date altro denaro o licenziamo e delocalizziamo.
Urso ha rilanciato a muso duro: “Se a dicembre la Volkswagen ha superato in vendite Stellantis in Italia, se i cittadini italiani hanno preferito acquistare un’auto prodotta all’estero, piuttosto che una fatta in Italia, a fronte di condizioni di mercato e incentivi simili, il problema non è del governo ma dell’azienda. Negli scorsi anni il 40% degli incentivi è andato a Stellantis, ma la metà di questi sono finiti a modelli prodotti all’estero e importati in Italia. Non può continuare così. Se Tavares o altri ritengono che l’Italia debba fare come la Francia, che ha aumentato il proprio capitale sociale all’interno dell’azionariato di Stellantis, ce lo chiedano”.
Ai margini del campo di battaglia riemerge di tanto in tanto, spesso evocata dai giornali della famiglia Elkann, la figura di Maurizio Landini (a sinistra), leader della Cgil. Una sagoma dai contorni sfumati, oscillante tra il ruolo di spuntato rappresentante sindacale e quello di conciliante interlocutore di Stellantis. Un suo intervento, rilanciato ieri da La Stampa (gruppo Gedi controllato dagli Elkann), è indicativo.
“Stellantis tuteli il lavoro”, è la frase che campeggia in prima. Uno pensa, magari Carlo Calenda ha torto, quando dice che Landini è troppo morbido con gli Elkann. Poi, a pagina 22, ci si ritrova con una concisa considerazione, che nulla aggiunge al dibattito, inserita quasi in coda a un articolo di più ampio respiro: “Torniamo a chiedere che anche lo Stato italiano entri. C’è bisogno di una logica di intervento più forte dei semplici incentivi, come in Francia”.
Ovviamente nemmeno un accenno al capitalista cattivo che succhia il sangue dei poveri operai, né all’opera di mungitura dello Stato Italiano praticata dagli Elkann fino a oggi. Chissà cosa ne pensano gli operai di Pomigliano e di Melfi. O tutti gli italiani stanchi di pagare le tasse per finanziare l’impero economico di uno che paga le tasse in Olanda. Si ha quasi l’impressione che Landini abbia voluto anticipare la risposta di Elkann alla battuta di Urso: “Se volete che lo Stato entri in Stellantis, chiedetelo”
D’altra parte, a ben vedere Elkann potrebbe tranquillamente sottoscrivere le osservazioni affidate dal sindacalista al suo giornale. Sia il rilievo che “gli incentivi non bastano” (per cui, “povero” John, è costretto a trasferire all’estero la baracca senza i burattini), sia l’avance allo Stato. Quello stesso Stato che, forse, avrebbe fatto prima a comprarsela, Stellantis, con i soldi che ha bruciato finora per lei.

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La rabbia degli operai: “Incentivi sbagliati, i sindacati dormono”

di Giuseppe Palmieri

NAPOLI – Tutto sbagliato Dalle minacce di Stellantis, ai silenzi dei sindacati, alle scelte del governo. E chi paga il prezzo dell’avidità dei potenti e della miopia di chi deve fare le scelte? Gli operai. Quelli che ogni giorno sono in prima linea per garantire la produzione, per far funzionare uno stabilimento gigantesco e storico come quello di Pomigliano, per difendere i propri diritti, per garantire una vita dignitosa alle loro famiglie. In mezzo tra la voglia di risparmiare e guadagnare dei padroni e gli errori strategici, voluti o meno, di chi dovrebbe tutelare i loro diritti. Le dichiarazioni di Carlo Tavares, amministratore delegato di Stellantis, hanno agitato gli animi al ‘Vico’. E non poteva essere altrimenti. Gli operai sono preoccupati per il loro futuro. Temono la fuga della multinazionale all’estero, dove produrre costa di meno, nonostante il governo nazionale sia trattando per garantire, come fatto mille e più volte in passato, nuovi incentivi. “Le parole di Tavares sono una caduta di stile da parte di un amministratore delegato di una multinazionale come Stellantis – spiega Gerardo Giannone, che nello stabilimento di Pomigliano d’Arco si occupa della logistica per la produzione dell’Alfa Romeo Tonale, ferma da venerdì scorso (e resterà tale fino almeno a martedì per problemi nella fornitura dei materiali) – Dall’altra parte va evidenziata la mancanza di visione politica del ministro Urso. Il governo ha commesso un errore grave sul calcolo degli incentivi. Del miliardo promesso solo 120 milioni potrebbero andare a vantaggio delle auto prodotte in Italia. Qui non si producono vetture a Gpl, quelle a benzina sono poche, l’elettrico è prodotto solo a Mirafiori e per l’ibrido c’è la Panda a Pomigliano. Paradossalmente proprio questi due stabilimenti sono quelli minacciati di tagli. Gli incentivi, alla fine, andranno a uso e consumo degli stabilimento stranieri, eppure ci sono dei dossier in Senato che fotografano bene la situazione. Tavares sbaglia tempi, modi e concetti ed è assurdo minacciare gli operai, ma anche il governo deve riflettere. Quegli incentivi non aiutano”. E analizzando i dati del dossier in possesso di Palazzo Madama emerge un dato pesante: su 68 auto in commercio, solo 43 avranno diritto a rientrare nell’eco incentivo del governo. Tra queste sono 3 quelle prodotte in Italia. Dove il governo non arriva, però, in queste situazioni, dovrebbero essere i sindacati ad alzare la voce e intervenire. Dalla Cgil di Maurizio Landini, dalla quale ci si aspettava una vera battaglia a tutela degli operai che invece sono stati ancora una volta traditi e lasciati soli, agli altri confederali che non stanno facendo molto di più per evitare la fuga di chi in Italia ha sempre avuto il sostegno pubblico e che ora vuole delocalizzare. E chi lavora a Pomigliano lo ha notato, eccome: “Se il governo non fa le scelte giuste, i sindacato cosa fanno per farle correggere? Niente. Non sanno cosa produciamo in Italia? Questa – ha aggiunto Giannone – è una vicenda che va avanti da tempo e non hanno mosso un dito. Eppure le soluzioni ci sarebbero per rendere competitive le nostre fabbriche. Elkann a gennaio ha scritto ai fornitori, chiedendo loro di andare a produrre in Marocco e in Algeria. E’ quella la strada che stanno perseguendo ed è questo il problema da affrontare. Pomigliano avrà enormi problemi dal 2025 in avanti se non si riducono i costi della componentistica e della produzione, del carico fiscale. Il primo passo è rendere le fabbriche autosufficienti dal punto di vista energetico, come avvenuto in Spagna dove sono stati messi a disposizione 13 miliardi per la transizione ecologica – ha aggiunto – In Italia se va bene ce ne saranno 6 entro il 2035. Non è stata finanziata Industria 5.0, che era un’ottima soluzione per rendere la produzione sostenibile. Con questi incentivi sì che il governo non avrebbe problemi al tavolo con Stellantis. Senza sarà dura”, ha concluso.

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