Telefoni e sim venduti ai detenuti di Carinola: indagati in 53

Ricostruita dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere la rete che riforniva il carcere di Carinola

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In alto, a sinistra Vincenzo De Luca, a destra Porfidia. In basso il carcere di Carinola

CARINOLA – Un’associazione stabile, con ruoli precisi e un obiettivo chiaro: garantire ai detenuti della casa circondariale ‘Gian Battista Novelli’ di Carinola telefoni cellulari e sim card da utilizzare clandestinamente dietro le sbarre. È questa la tesi della Procura di Santa Maria Capua Vetere, con i pubblici ministeri Maria Alessandro Pinto e Daniela Pannone. Una tesi al centro di un’inchiesta che ha coinvolto 53 persone, molte delle quali ancora recluse nel penitenziario casertano.

Secondo l’accusa, il promotore del gruppo sarebbe stato Vincenzo De Luca, 30enne di Napoli, detenuto che, avvalendosi della collaborazione di altri compagni, gestiva una vera e propria ‘rete commerciale’ interna. De Luca – insieme a Francesco Madonia, 42enne di Mugnano, Paolo Porfidia, 28enne di Recale, Ciro Ascione, 45enne di Torre del Greco, Antonio Festa, 35enne di Napoli, Enrico Mattera, 41enne di Parete, e Antonio Ricciuti, 49enne di Piedimonte Matese – avrebbe organizzato l’approvvigionamento dei dispositivi e la loro distribuzione tra la popolazione carceraria. I telefoni e le sim, spesso intestate fittiziamente a terzi, venivano venduti ai reclusi, che provvedevano a pagare tramite conti e carte intestate a complici all’esterno.

Madonia, anch’egli indicato come promotore, raccoglieva – sostiene l’accusa – le richieste dei detenuti e trasmetteva le modalità di acquisto, seguendo le direttive di De Luca. Porfidia, Ascione e Festa avrebbero svolto il ruolo di intermediari, preoccupandosi di prendere le domande e riscuotere i compensi. Mattera, a sua volta, garantiva l’approvvigionamento continuo di cellulari e schede, mentre Ricciuti, in qualità di lavorante presso la colonia agricola del carcere, si sarebbe occupato materialmente dell’introduzione dei dispositivi all’interno dell’istituto.

Il sodalizio, che sarebbe stato attivo tra il 2022 e il 2023, non si fermava però ai detenuti. All’esterno, un ruolo cruciale sarebbe stato giocato da Mariamaddalena Alfano, 27enne di Napoli, moglie di De Luca, che – stando a quanto sostenuto dall’accusa – custodiva i telefoni pronti a entrare in carcere e gestiva i proventi della vendita tramite una carta Mooney dedicata.
Fondamentale, secondo gli inquirenti della Procura guidata da Pierpaolo Bruni, anche il contributo di Francesco Pacilio, 35enne di Mugnano, che avrebbe depositato i cellulari in aree adiacenti al penitenziario, da cui venivano poi recuperati per essere introdotti da Ricciuti. Infine, Anna Valletta, 41enne di Mugnano, compagna di Madonia, avrebbe messo a disposizione una Postepay per far confluire i soldi derivanti dalle operazioni illecite.

Dalle indagini – condotte con intercettazioni telefoniche e ambientali, telecamere, perquisizioni e sequestri – emerge un sistema rodato, capace di aggirare i controlli e garantire un flusso costante di dispositivi all’interno del carcere. Gli inquirenti sottolineano come la disponibilità di telefoni e sim da parte dei detenuti rappresenti un pericolo concreto: strumenti utilizzati non solo per comunicare con l’esterno, ma anche per mantenere contatti con le rispettive reti criminali e gestire traffici illeciti a distanza.

La Procura contesta ai 10 indagati citati il reato di associazione per delinquere con l’aggravante della partecipazione a un’organizzazione stabilmente diretta a introdurre strumenti vietati nell’istituto penitenziario. Adesso i pm valuteranno l’eventuale richiesta di processo e, in quel caso, spetterà al giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio.
Se accolta, per i 53 indagati si aprirà un processo che mette in luce uno degli aspetti più delicati della gestione carceraria: il contrasto al mercato clandestino che, secondo la tesi della Procura, non sarebbe frutto di episodi isolati, ma di un sistema ben strutturato, con gerarchie, ruoli e metodi di finanziamento ben definiti.

Gli inquisiti sono tutti da ritenere innocenti fino a un’eventuale sentenza di condanna irrevocabile. Nel collegio difensivo compaiono gli avvocati Michele Giammetta, Marco Argirò, Antonio Pollio, Patrizia Antonio Magliulo, Angelo Riccio, Maria Francesca Cavaliere, Salvatore Cacciapuoti, Lidia Mastroianni, Agostino Di Santo, Luigi Poziello, Emilio Giugliano, Nicola Russo, Vincenzo Iovine, Dario Cuomo, Agostino Russo, Giuseppe Albanese, Michela Lazzari, Riccardo Venditti, Danilo Volpe, Alessio Ruoppo, Pasquale Serafino, Sergio Aruta, Antonio Usiello, Angelo Ferraro, Gennaro Caracciolo e Pierluigi Grassi.

Pacchi-trappola e ricariche: così arrivavano i cellulari

Accanto al troncone principale che ipotizza l’associazione capeggiata da Vincenzo De Luca e altri detenuti, l’inchiesta della Procura sammaritana ha ricostruito un secondo livello di responsabilità che coinvolge altri 43 indagati, accusati a vario titolo di aver introdotto o utilizzato apparecchi telefonici e sim card nel carcere di Carinola. Stando alla tesi dell’accusa, gli episodi vanno dai ‘pacchi-colloquio’ con dentro cellulari consegnati da familiari ai detenuti, ai depositi all’esterno del perimetro dell’istituto, fino all’uso personale di telefoni all’interno delle sezioni. Le contestazioni parlano di pagamenti tracciati tramite carte Mooney e Postepay intestate a terzi, di corrispettivi in denaro e persino di compensi in buste di tabacco.

Fra i casi specifici contestati, spicca quello di Paolo Porfidia, che avrebbe ricevuto da suo padre Vincenzo Porfidia (64 anni, Recale) un cellulare nascosto in un pacco, poi consegnato al detenuto Salvatore Scognamiglio (32enne, Torre del Greco). Allo stesso Porfidia è imputato anche l’uso reiterato di utenze per comunicare con l’esterno. In altre occasioni, la Procura indica De Luca, Madonia, Porfidia e Anna Valletta (41 anni, Villaricca) come responsabili dell’introduzione di un telefono in favore di un detenuto, a fronte di un pagamento di 350 euro.

Episodi analoghi vengono attribuiti a De Luca, Festa e Porfidia, che avrebbero fornito una batteria a Franco Pierleoni (47enne di Tivoli) in cambio di tabacco, e a De Luca e Ascione, accusati di aver procurato apparecchi a più compagni di cella con pagamenti fino a 997 euro. Altri indagati avrebbero utilizzato telefoni in sezione per comunicare con familiari: le accuse toccano, tra gli altri, Luca Aprea (36enne di Napoli), Raffaele Gentile (53enne di Napoli), Eugenio Grassia (34enne di Trentola Ducenta), Fabio Imparato (43enne, di Napoli), Michele Iommelli (53enne, di Napoli), Vincenzo Maraglino (34enne, di Giugliano in Campania), Salvatore Merolla (46enne, di Napoli), Gennaro Micillo (49enne, di Santi Cosma e Damiano), Giovanni Nasti (47enne, di Napoli), Filippo Nocerino (56enne, di Carinola), Angelo Paone (32enne, di Casoria), Patrizio Pepe (47enne, di Nocera Superiore), Pasquale Pesce (56enne, di Mirabella Eclano), Tobia Polese (38enne, di Torre del Greco), Giuseppe Prisco (31enne, di Napoli), Giuseppe Pulcrano (42enne, di Palaia), Salvatore Quotidiano (37enne, di Napoli), Michele Romano (39enne, di Salerno), Michele Ruffo (49enne, di Napoli), Angelo Sciortino (74enne, di Caserta), Gennaro Simone (61enne, di Napoli), Antonio Siviero (30enne, di Giugliano in Campania), Giampaolo Testa (60enne, di Novara), Gianluca Volpe (51enne, di Napoli), Besim Xheli (38enne albanese) ed Erminio Zevola (35enne, di Falciano del Massico). Nell’elenco degli indagati, poi, figurano anche: Giovanni Bottone (35enne, di Afragola); Francesco Ceruso (38enne, di Pagani); Marco Ciccarelli (47enne, di Giugliano in Campania); Nicola Corace (43enne, di Carinaro); Ciro De Simone (40enne, di Napoli); Michele Dionisio (54enne, di Napoli); Ivan Engheben (30enne, di Napoli); Giuseppe Esposito (26enne, di Carinola); Stefano Esposito (34enne, di Marcianise); Alessandro Flagiello (41enne, di Mugnano di Napoli); Francesco Pacilio (35enne, di Giugliano in Campania); Giovanni Capasso (43enne, di Castevolturno); Salvatore Scognamiglio (32enne, di Torre del Greco).

Per tutti, da considerare innocenti fino a un’eventuale sentenza di condanna irrevocabile, la Procura ha dichiarato chiuse le indagini. Ora spetta al gup di Santa Maria Capua Vetere decidere se disporre il rinvio a giudizio.

Il sistema parallelo che sfida regole e sorveglianza

CARINOLA (gt) – L’inchiesta della Procura di Santa Maria Capua Vetere sull’introduzione illecita di telefoni e sim nella casa circondariale di Carinola ‘Gian Battista Novelli’ non è un episodio isolato. Al contrario, si inserisce in un quadro più ampio: nelle carceri della Campania il rinvenimento di dispositivi vietati è diventato un fenomeno ricorrente, segnale di una piaga che sembra difficile da arginare. Le cronache regionali raccontano episodi ormai quasi ordinari.
La Procura sammaritana, guidata da Pierpaolo Bruni (nella foto), ha scelto di mettere questo nodo tra le priorità investigative. L’avviso di conclusione indagini che coinvolge 53 persone lo dimostra: non basta colpire singoli episodi, ma serve un’azione sistematica fatta di intercettazioni, sequestri, ricostruzione dei flussi di denaro e delle catene di comando che collegano il carcere con l’esterno.
La repressione, però, non risolve tutto. Spesso i cellulari vengono usati dai detenuti per mantenere i rapporti con le famiglie, al di là delle telefonate o dei colloqui autorizzati. Ma la stessa tecnologia clandestina diventa un’arma nelle mani della criminalità organizzata: serve a impartire ordini, gestire affari, controllare affiliati.
Il caso più inquietante resta quello di Gianluca Bidognetti che, dal carcere di Terni, avrebbe tentato di dirigere la cosca di appartenenza impartendo persino ordini di omicidio, poi non eseguiti per l’opposizione di alcuni complici.
Il rischio è evidente: senza misure efficaci, il carcere non solo perde la funzione di isolamento, ma si trasforma in un centro di comando. Per questo accanto all’azione della magistratura serve un sistema integrato: inibitori di segnale realmente funzionanti, scanner più sofisticati, controlli frequenti, personale penitenziario in numero adeguato e sanzioni severe per chi introduce i telefoni. Solo così sarà possibile ridurre un fenomeno che mina la sicurezza interna e la credibilità stessa dello Stato.

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