Teverola, De Santis gestiva il clan dal carcere. Cellulari e ordini nascosti tra le sbarre

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Salvatore De Santis ed Aldo Picca

TEVEROLA – Gianluca Bidognetti era riuscito a governarci una cosca, a disporre estorsioni, a ordinare raid punitivi (fortunatamente non andati a buon fine). Con cosa? Con un semplice cellulare. Dal carcere, quando recluso nell’alta sicurezza di Terni (ora è al 41 bis), aveva
continuato a far sentire la sua voce agli affiliati liberi. E su quello stesso schema hanno agito – prima e dopo di lui – anche altri mafiosi.
Secondo il pentito Vincenzo D’Angelo Biscottino, prima di tornare a Casale (salvo poi essere arrestato pochi mesi dopo), lo faceva anche
Emanuele Libero Schiavone (dare indicazione dal carcere siciliano agli uomini del suo gruppo con un telefonino). E possiamo aggiungere,
ora, grazie alle dichiarazioni di un nuovo collaboratore di giustizia, Francesco De Chiara, un altro caso. Quale? Quello di Salvatore De
Santis ‘o buttafuori. È stato coinvolto nell’inchiesta della Dda tesa a disarticolare l’organizzazione mafiosa guidata, dice l’accusa, da Aldo
Picca e Nicola Di Martino. In questa compagine, De Santis avrebbe avuto un ruolo di spicco, di braccio destro di Picca e coordinatore del
business della droga. Prima del suo ultimo arresto, quando già era in carcere, ha riferito De Chiara, con vari cellulari che riusciva a procurarsi in cella, ‘o buttafuori avrebbe tenuto un filo diretto per presunti motivi malavitosi con Antonio Zaccariello.

Sfruttava quei telefoni clandestini non solo per interloquire con i suoi cari – per ragioni affettive – ma, dice De Chiara, pure per gestire
il clan. Comunicazioni che avrebbe intrattenuto, come detto, con Antonio Zaccariello, e anche con altri soggetti. Chi? A detta del pentito, con Nicola Di Martino e Michele Vinceguerra. Queste informazioni sono state recentemente depositate dal pm Simona Belluccio nel processo, in corso dinanzi al Tribunale di Napoli, dove è coinvolto proprio De Santis, Vinciguerra, Zaccariello e gli altri coinvolti nell’inchiesta sul clan Picca, destinatari del decreto di giudizio immediato richiesto dall’Antimafia (che non hanno scelto il di- battimento). L’inchiesta che
ha innescato il processo è figlia dell’indagine, realizzata dai carabinieri di Caserta, che nel 2024 ha fatto scattare 42 misure cautelari.

Gli imputati, da ritenere innocenti fino a un’eventuale sentenza di condanna irrevocabile, sono accusati a vario titolo di associazione mafiosa, estorsioni, armi, associazione finalizzata allo smercio di narcotici, singoli episodi di spaccio e trasferimento fraudolento di beni. Sono tutti da ritenere innocenti fino a una eventuale sente

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