TEVEROLA – Una funzione da messaggero: è quella che Francesco De Chiara, neo collaboratore di giustizia, affida a Giovanni Picca. Si tratta del 43enne nipote del boss Aldo Picca. Stando al racconto del pentito, avrebbe principalmente portato “le imbasciate” del mafioso a Salvatore De Santis, alias Buttafuori, esponente di spicco della cosca teverolese, gestore – secondo la Dda – del business della droga e anche autore di estorsioni.
Giovanni Picca, ha riferito De Chiara ai magistrati dell’Antimafia, si sarebbe anche occupato di rintracciare, convocare e condurre presso l’abitazione dello zio le persone che questi voleva incontrare. Rispondendo alle domande degli inquirenti, De Chiara ha attribuito, inoltre, a Giovanni Picca anche un’altra mansione. Quale? Si sarebbe occupato dell’imposizione, decisa dal clan, della vigilanza privata ai commercianti. E nello specifico indica due attività commerciali finite nel mirino di questa imposizione: un bar e un ristorante.
L’inchiesta, condotta dai carabinieri e finalizzata a disarticolare la cosca guidata – secondo la Dda – da Picca e da Nicola Di Martino, ha portato a processo 30 imputati. Tra loro c’è anche Giovanni Picca, indicato dal pentito. È accusato di associazione mafiosa: secondo gli inquirenti, avrebbe dato il suo contributo occupandosi della gestione monopolistica e illecita della vigilanza privata ritenuta vicina al clan. Insomma, le dichiarazioni di De Chiara vanno a confermare quanto già tracciato dall’Antimafia nella sua inchiesta. Giovanni Picca, lo zio Aldo, Di Martino e De Santis – tirati in ballo dal collaboratore di giustizia – sono da considerarsi innocenti fino a un’eventuale sentenza di condanna irrevocabile. Nel collegio difensivo figurano gli avvocati Angelo Raucci, Cristina Mottola, Carlo De Stavola, Vincenzo Motti e Carmine D’Aniello.