VILLA LITERNO – Sigilli al tesoro dei fratelli Giovanni e Michele Fontana, imprenditori attivi nel settore del trasporto merci su strada e della gestione dei rifiuti. A finire sotto chiave sono state quote e compendi aziendali di 8 società, 120 immobili, tra fabbricati e terreni, 6 veicoli ed è scattato anche il blocco di svariati rapporti bancari e finanziari. I beni sottoposti a sequestro riconducibili ai Fontana hanno un valore complessivo di oltre 50 milioni di euro. Ad eseguire il provvedimento, emesso (su richiesta della Dda di Napoli) dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, sono stati i militari dei comandi provinciali della guardia di finanza di Napoli e Caserta e del gruppo carabinieri per la Tutela dell’ambiente di Napoli.
Il sequestro è stato adottato a seguito della revoca del controllo giudiziario di una società dei Fontana, essendo nel frattempo emersi a loro carico elementi che hanno convinto i giudici a considerare fondata la pericolosità sociale e a far ritenere che il loro patrimonio si sia formato e sia stato incrementato negli anni grazie ad attività illecite.
L’indagine sul narcos Raffaele Imperiale
Alla base della misura di prevenzione, hanno fatto sapere gli investigatori, c’è l’ordinanza di custodia cautelare disposta lo scorso novembre dall’ufficio gip del Tribunale di Napoli nei confronti di Giovanni Fontana per traffico internazionale di sostanze stupefacenti. A portarlo in carcere sono state le indagini tese a smantellare l’organizzazione del noto narcotrafficante Raffaele Imperiale, diventato collaboratore di giustizia.
I carichi di droga verso l’Australia, il Brasile e l’Olanda
Dall’analisi del materiale acquisito a seguito della decrittazione dei sistemi Eurochat e Sky Ecc, che il narcos e i suoi sodali utilizzavano per comunicare e organizzare i business illegali, è emerso, hanno chiarito fiamme gialle e carabinieri, che nel 2021 Fontana aveva messo a disposizione di Imperiale un suo deposito per occultare 600 chilogrammi di cocaina all’interno di due container diretti in Australia.
Nel corso degli interrogatori resi dopo l’esecuzione della misura cautelare, Imperiale ha confermato il coinvolgimento di Fontana nell’operazione con l’Australia e descritto altri traffici illeciti compiuti sempre con la collaborazione dell’imprenditore liternese: dapprima due operazioni di trasporto dal Brasile, tra il 2008 e il 2010, di complessivi 6mila chili di cocaina e, in seguito, tra il 2017 e il 2021, una decina di trasporti dall’Olanda allorquando, avvertendo l’esigenza di dotarsi di autotrasportatori efficienti e fidati, il narcos decise di ricontattare Fontana tramite Daniele Ursini (anche lui arrestato lo scorso novembre). Quest’ultimo ha pure confermato la circostanza riferite dal pentito nel corso dell’interrogatorio del 13 dicembre 2022.
Per questi ipotizzati trasporti di droga, Fontana, ha dichiarato Imperiale, avrebbe ricevuto un compenso di oltre 7 milioni di euro.
Il legame con Zagaria
Al giudizio di pericolosità sociale dell’imprenditore hanno contribuito anche i precedenti per rapina, furto e armi e le dichiarazioni di due collaboratori di giustizia, già esponenti di spicco delle fazioni Schiavone e Zagaria del clan dei Casalesi, che lo hanno descritto come un imprenditore colluso con il gruppo di Michele Zagaria.
Fondati indizi per formulare un giudizio di pericolosità sociale sono stati ravvisati anche nei confronti di Michele Fontana, legato al fratello Giovanni da vincoli societari che lo hanno portato alla totale condivisione non solo delle strategie commerciali ma, ritengono gli investigatori, anche di quelle di natura illecita, come emerso dalle verifiche sulla gestione delle aziende di trasporto e degli impianti di trattamento rifiuti da parte dei due germani.
Le indagini patrimoniali hanno evidenziato una evidente sproporzione, nel periodo 2002-2021, tra i redditi dei due imprenditori e dei rispettivi nuclei familiari e le relative possidenze.
Da qui il sequestro eseguito ieri da fiamme gialle e carabinieri del Noe. È d’obbligo rilevare che il provvedimento è una misura di prevenzione patrimoniale non ancora definitiva e avverso cui i soggetti destinatari potranno far valere i mezzi di impugnazione previsti dalla legge.
Ad assistere i Fontana sono gli avvocati Mario Griffo e Giovanni Cantelli.
Le proprietà tra il Litorale il Basso Volturno
Un patrimonio imponente quello dei fratelli Fontana. Un impero economico che, secondo gli inquirenti della Procura di Napoli (nella foto), sarebbe stato ‘drogato’ da attività illecite. La tesi dei magistrati dell’Antimafia ha spinto il palazzo di giustizia di S. Maria C.V. (sezione Misure di prevenzione) a disporre il sequestro degli interi capitali delle società Fontana Group, T.G. Trasporti, Ma.Gi, F.G.M. Trasporti, Fontana Service, Fontana Francesco, Ambiente Campania e Fontedi. I fabbricati sui quali sono stati apposti, ieri mattina, i sigilli da fiamme gialle e carabinieri si trovano a Villa Literno, Castelvolturno e S. Maria La Fossa, mentre i terreni ‘bloccati’, oltre che nella zona liternese, si trovano anche nel basso Volturno, precisamente tra Cancello Arnone e S. Maria La Fossa. Sono state sequestrate pure quattro automobili e due moto.
Onoranze funebri, D’Angelo: dai Corvino soldi a Bidognetti
CASAL DI PRINCIPE (gita) – Non solo Vincenzo Martino della Concordia, ma anche altri imprenditori attivi nel settore delle onoranze funebri, come Valentino Corvino e poi, dopo la sua morte, il nipote Ernesto, avrebbero assicurato denaro alla famiglia Bidognetti: a sostenerlo è stato il pentito Vincenzo D’Angelo (nella foto). “I Corvino svolgevano lo stesso ruolo di Martino sui territori di Gricignano, Casaluce, Teverola e Aversa. Ernesto e il cugino omonimo si servivano di Giovanni Corvino per interloquire con me dal 2017 in poi. I proventi delle imprese funebri – ha dichiarato il collaboratore di giustizia – provenivano anche da Ciccio Cerullo. Tutti sono espressione diretta di Francesco Bidognetti e di Aniello Bidognetti, nel senso che furono designati da costoro come imprenditori funebri che avrebbero dovuto garantire la costanza dei finanziamenti ai Bidognetti, in cambio della loro esclusiva sui territori. Allo scopo di occultare il loro controllo del territorio, erano soliti incaricare altre imprese operanti su altri territori per lo svolgimento dei funerali, ma di fatto venivano svolti solo formalmente da altre ditte. In concreto, erano sempre loro. In altre parole – ha proseguito D’Angelo – una ditta di Villa Literno o di un altro paese estraneo a quei comuni non poteva mai svolgere un funerale a Casale o nei territori di cui ho parlato, se non dopo aver ricevuto l’autorizzazione da Martino. Quando è capitato che qualche ditta ha effettuato il funerale, era perché non si voleva insospettire le autorità di polizia”. D’Angelo, marito di Katia Bidognetti, figlia del capoclan Francesco, è stato arrestato lo scorso novembre per mafia. Pochi giorni dopo il blitz iniziò il suo percorso di collaborazione con la giustizia. Le dichiarazioni che ha reso ai magistrati della Dda sono inserite nell’indagine che punta a colpire le attività illecite della cosca Bidognetti (in cui sono coinvolti i Corvino), e di quella Schiavone. Martino, dopo l’assoluzione incassata in primo grado, sta affrontando un processo di secondo grado per intestazione fittizia di beni.
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