NAPOLI – Un quarto di secolo, venticinque anni senza Massimo Troisi. Una vita, un’infinità di mesi e giorni in cui si è dovuto fare a meno di uno degli artisti più originali che Napoli e il nostro cinema abbiano mai partorito. Subito si cominciò a capire allora che la ‘napoletanità’ di Massimo, fieramente rivendicata, non avrebbe rappresentato un limite al gradimento del pubblico, anzi, sarebbe stata una delle caratteristiche salienti della sua popolarità.
L’anarchico malinconico del cinema italiano, così più volte definito dai critici, ha lasciato il segno; una malinconia, la sua che la stessa Giuliana De Sio, che lo ha accompagnato più volte nei suoi film, ha voluto raccontare a ‘Cronache’. Una cronistoria quella della grande artista napoletana fatta di ricordi e aneddoti, velati da nostalgia e consapevolezza che, la morte prematura di Troisi, abbia lasciato un vuoto incolmabile per le vecchie e nuove generazioni. “Raccontare Massimo e dire cose non dette diventa sempre più difficile. Sono trascorsi 25 anni oramai che rilascio interviste. Faccio sempre più fatica a raccontare cose che non siano sempre le stesse e che non siano conosciute”.
Troisi ha rappresentato un periodo importate e finito troppo presto per il cinema italiano e non solo.
Certo posso dire che Massimo è stato un’epoca più che una persona. Quando noi parliamo di nostalgia, di tristezza, il riferimento è anche ad contesto storico che ha lasciato il segno e a cui siamo rimasti legati a doppio filo. Ebbene, quella di Massimo è stata un’epoca in cui Napoli oltre a Troisi ha partorito un altro personaggio a capo di quel periodo storico come Pino Daniele, anche lui prematuramente scomparso. Un periodo felice e prolifico dal punto di vista artistico. E, a prescindere da Napoli, fanno parte di quell’epoca anche altri artisti del cinema italiano. Artisti del calibro di Benigni, Nuti, Verdone con alcuni dei quali ho lavorato e avuto la possibilità di conoscere, tutti grandi attori ma ognuno diverso dagli altri.
Come potrebbe descrivere Massimo Troisi artisticamente?
Lui portava con se una sorta di malinconia intrinseca che le si leggeva in fronte; una malinconia che gli derivava dalla sua malattia di cui era pienamente consapevole. Massimo era una persona malata prima ancora di essere un grande artista. Una persona simpatica ed empatica ma la sua patologia lo limitava e lo costringeva a non fare quanto invece avrebbe voluto , dovendo dosare giocoforza le proprie energie. Massimo, come tutti i maschietti italiani e napoletani in particolare, amava le donne e il calcio, ma per entrambi doveva darsi dei modi e dei limiti causa di un cuore malato: energie che avrebbe voluto spendere e spandere e che invece doveva limitare.
Tutte queste cose si intuivano nel rapporto con lui, anche da quella moltitudine di pillole colorate che doveva prendere durante l’intera giornata. Portava sempre con se tanti scatolini di medicinali e nel vederli spesso pensavo che, così in giovane età, doveva essere davvero triste dipendere da un sistema terapeutico implacabile e del quale non avrebbe mai potuto privarsi. Ecco, tutto questo basterebbe a definire una persona che poi, inaspettatamente , nel suo dramma, sarebbe diventata un attore comico. Ma solo perché Massimo era un genio.
Dunque una persona malata eppure ai limiti del farsesco nei suoi personaggi.
Lui era un fardello di tristezza causa un futuro che intuiva sarebbe stato breve perché Massimo era estremamente intelligente.
E nella vita privata com’era Troisi?
La sua malattia non ci impediva comunque di trascorrere insieme delle serate divertenti all’insegna dell’apparente spensieratezza. Lui era talmente spiritoso che era un piacere stargli vicino: mai banale a prescindere da tutto. In certi sensi era anche irriverente, ma di quella sfrontatezza mai violenta ma ficcante , profonda con un sostanziale senso di equilibrio che non la rendeva mai offensiva. Ecco una delle chiavi del suo grande successo come comico: è rimasto nella storia per le cose che diceva e scriveva che erano molto spiritose ma in maniera sempre elegante.
Un umorismo un po’ all’inglese?
Direi proprio di sì. Massimo ha rappresentato un personaggio in controtendenza, che si limitava di tutto. Il personaggio dei suoi film, quello che faceva ridere, per capirci, era una persona disadattata che aveva oggettive difficoltà nell’interagire con gli altri; una persona con le sue paure, i suoi tic, la sua incapacità di affrontare l’amore. E proprio in uno dei film che abbiamo fatto assieme, il cui tema era l’amore, viene fuori l’incapacità del suo personaggio di comunicare con l’universo donna. Ricordo una battuta recitata alla fine di un altro film che diceva: “Uomini e donne sono le persone meno adatta per stare insieme”.