È una convinzione diffusa ma errata: toccare un piccolo uccello caduto dal nido ne provocherebbe l’abbandono da parte dei genitori, a causa dell’odore umano. Questa falsa credenza, per quanto mossa da buone intenzioni, spesso porta a interventi dannosi per i giovani volatili. La realtà, spiegata da etologi e associazioni come la Lipu (Lega Italiana Protezione Uccelli), è molto diversa e si basa su solide ragioni biologiche.
Innanzitutto, la maggior parte delle specie di uccelli possiede un senso dell’olfatto poco sviluppato. A differenza dei mammiferi, non usano l’odore come principale strumento per riconoscere i propri simili o la prole. Di conseguenza, l’odore umano lasciato su un nidiaceo non è un segnale di allarme sufficiente a innescare un comportamento di rifiuto da parte dei genitori.
L’istinto parentale nei volatili è estremamente forte. La costruzione del nido, la cova delle uova e l’allevamento dei piccoli rappresentano un investimento energetico enorme. Abbandonare la prole significherebbe sprecare queste preziose risorse, una scelta che la selezione naturale ha sfavorito. Anche di fronte a minacce, come la presenza di predatori, i genitori tentano di difendere il nido con tenacia. Solo in casi estremi di disturbo continuo e insostenibile, potrebbero decidere di spostarsi, ma l’abbandono non è mai la prima opzione.
Molto spesso, i piccoli uccelli che si trovano a terra non sono “caduti” involontariamente, ma si trovano in una fase naturale del loro sviluppo chiamata “involo”. Sono nidiacei che, pur non essendo ancora abili volatori, hanno lasciato spontaneamente il nido per iniziare a esplorare l’ambiente circostante. In questa fase cruciale, i genitori continuano a seguirli, nutrirli e proteggerli a distanza, insegnando loro a sopravvivere. Raccoglierli significa sottrarli a queste cure parentali indispensabili.
Le indicazioni della Lipu sono chiare: un piccolo volatile a terra non deve essere raccolto, a meno che non si trovi in una condizione di pericolo evidente. L’intervento umano è giustificato solo se l’animale è visibilmente ferito, malato, completamente privo di piume (quindi un nidiaceo implume, caduto prematuramente) o se si trova in un luogo ad alto rischio, come una strada trafficata. In quest’ultimo caso, può essere semplicemente spostato di pochi metri in un luogo più sicuro, come un cespuglio o sotto una siepe.
Se si accerta che il piccolo ha bisogno di aiuto, la procedura corretta non è il “fai da te”. È fondamentale contattare il prima possibile il Centro Recupero Animali Selvatici (CRAS) più vicino, la Polizia Provinciale competente per la fauna o una sezione locale della Lipu. Questi enti specializzati sapranno fornire le giuste istruzioni e, se necessario, prenderanno in carico l’animale per garantirgli le cure adeguate e un futuro reinserimento in natura.
La regola d’oro è quindi osservare da lontano e non agire d’impulso. Nella maggior parte dei casi, il miglior aiuto che possiamo offrire a un giovane uccello è lasciarlo alle cure dei suoi veri esperti: i suoi genitori.
Barbara Merlo





















