NAPOLI – Uccisi in un vicolo cielo al rione Don Guanella. Alle 15 e 30. Appuntamento con la morte. Trenta proiettili. Due pistole. Pasquale Torre è al volante della Fiat Punto bianca, quando cominciano a sparare. Lo troveranno riverso sul sedile passeggero. Il 47enne non muove un passo. Giuseppe Di Napoli è a terra. A pochi metri dalla macchina. Ma dietro. Il 34enne tenta la fuga, viene colpito alle spalle e cade. Il corpo è quasi sotto alla Punto. Ha provato a raggiungere la strada, per chiedere aiuto. Siamo nel parco dei Colombi, sotto al ponte del Don Guanella. Qui è entrato il commando in pieno giorno: sa che ci sono diversi viali senza uscita. E una volta dentro, la Fiat Punto non ha vie di fuga. Così è stato. I sicari sono in scooter. Più veloce dell’utilitaria. Soprattutto nelle manovre in spazi stretti. Tutto studiato nei dettagli. Killer professionisti: senza dubbio. Lo rivela la dinamica: hanno ucciso subito il guidatore, per evitare la fuga. E ci sono riusciti.
I testimoni parlano di un motorino. Niente di più. La sequenza dura secondi. “Ma di certo qualcuno ha visto – spiega un investigatore – hanno sparato alla luce del sole in un parco condominiale. Ma è difficile raccogliere dichiarazioni per le indagini”. Così la polizia cerca informazioni in via confidenziale. Qui è successo qualcosa nelle ultime ore. Sospetta una lite, forse un incontro per chiarire. Di sicuro non è una discussione degenerata. Ma un’azione di fuoco bene organizzata. E qui sono pochi i clan capaci di un assalto simile. E’ la prima riflessione degli inquirenti. Intanto gli agenti della Scientifica trovano sull’asfalto trenta bossoli di due pistole. Sembrava Capodanno, racconta una persona che abita nel palazzo.
Gli investigatori esaminano i profili delle vittime, per trovare una ‘pista’: Torre è della Masseria Cardone, ma abita a Miano. Anche il 34enne è di Miano. Qui un tempo regnava il clan Lo Russo, i ‘Capitoni’. Ma dopo il pentimento dei boss, la cosca si è sfaldata ed è cominciata la diaspora.
Agguati e rappresaglie armate per emergere. In serata monta la polemica sulla sicurezza. Il consigliere regionale Severino Nappi va giù duro: “Quanto ancora bisognerà aspettare che dalle parole di Lamorgese si passi ai fatti per garantire la sicurezza nei nostri territori? Nel frattempo, a pochi giorni dall’ultima visita del ministro a Napoli, la camorra torna ad alzare la testa, colpendo in pieno giorno”. Poi taglia corto: “Ministro, il tempo è già ampiamente scaduto, basta con i proclami e gli annunci di facciata, ci si attivi da subito per dotare la città di forze, strutture e mezzi adeguati per contrastare l’emergenza criminalità e far sentire concretamente la presenza dello Stato”.
Un tranello, traditi dagli ‘amici’
Un tranello. Orchestrato da persone, che le vittime conoscevano. E’ la pista battuta dagli inquirenti. Pasquale Torre e Giuseppe Di Napoli non immaginavano nulla. Nemmeno un sospetto. Non sarebbero mai entrati un vicolo cieco in un parco condominiale. Qui dovevano incontrare qualcuno. Chi? E perché? Gli investigatori hanno scandagliato i tabulati dei cellulari: cercano un nome, una ‘pista’. Con chi hanno parlato al telefono ieri pomeriggio? I killer potrebbero aver commesso qualche errore. Lo sperano i poliziotti della squadra mobile. Ma non ci sono telecamere e pochi sono i testimoni.
Le indagini sono in salita. Gli assassini hanno un vantaggio: l’aver congegnato il delitto con anticipo.
Non è chiaro se Torre e Di Napoli siano stati attirati in una trappola da amici, o conoscenti. Di certo si fidavano delle persone, che dovevano incontrare ieri pomeriggio. Avrebbero scelto un luogo diverso.
Ma gli inquirenti non escludono un’altra ipotesi: che siano stati intercettati dal commando e seguiti fino al parco Colombo.
In questo caso gli agenti cercano riscontri: perché i due erano entrati nel parco? Qui abitano amici, o parenti? Dai primi accertamenti, sembra di no. Dunque l’imboscata pare l’ipotesi più probabile. Quasi certamente questa mattina gli investigatori effettueranno un secondo sopralluogo sotto al ponte in via Don Guanella. Qui le frizioni non sono mai mancate. E’ da sempre una zona ‘calda’. Ma nelle ultime ore potrebbe esserci stata una accelerazione. Lo temono i poliziotti della questura, che hanno avviato dei controlli mirati tra Miano e Scampia.
I Lo Russo non ci sono più. E la mappa criminale è frammentata. Una pericolosa ‘babele’, per usare parole degli investigatori.
Pasquale e Giuseppe avevano parentele molto ingombranti
NAPOLI (Marco Maffongelli)– Giuseppe Di Napoli e Pasquale Torre, meglio noto come Lino, non sono ritenuti esponenti di primo piano dei Lo Russo o dei loro ‘eredi’, ma hanno parentele sicuramente ingombranti. Lino Torre, residente alla Masseria Cardone ma attivo tra Miano e il rione Don Guanella, infatti, era il fratello di Mariano Torre, componente del gruppo di fuoco del boss Carlo Lo Russo e da alcuni anni collaboratore di giustizia. Insieme proprio all’ex capoclan, anch’egli diventato collaboratore della Dda, è stato tra gli accusatori di altri presunti esponenti del gruppo di fuoco dei ‘capitoni’ in merito a diversi omicidi e azioni di fuoco compiuti soprattutto durante lo scontro tra i Lo Russo e il gruppo guidato dal ras del rione Don Guanella Walter Mallo. Tra questi anche l’omicidio di Genny Cesarano, vittima innocente di una ‘stesa’ avvenuta in piazza Sanità e che, di recente, ha visto tre presunti partecipanti al raid essere condannati all’ergastolo dai giudici della Corte d’Assise d’Appello.
Non meno importanti i legami di sangue di Giuseppe Di Napoli. Quest’ultimo, infatti, era figlio di un esponente della vecchia guardia dei Lo Russo, un capozona, ma soprattutto era imparentato con Aniello e Vincenzo Di Napoli, padre e figlio, entrambi uccisi, a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro, dal ‘fuoco amico’. Infatti entrambi furono ammazzati da esponenti del clan Lo Russo. A raccontare dell’omicidio di Enzo Di Napoli, avvenuto nel dicembre del 2015, fu proprio il collaboratore di giustizia Mariano Torre, che riferì: “Feci quell’omicidio a malincuore, quando me lo chiese Ciro Perfetto (nipote del boss Carlo Lo Russo, ndr). Mi limitai a fargli notare che stavamo andando ad ammazzare uno di noi. Poi ricordai a Perfetto che non dovevamo mettere un ragazzo come Di Napoli nel gruppo di quelli che andavano a sparare alla Sanità”. Non solo, Torre svelò anche il motivo della decisione di uccidere uno del clan: “Mi spiegò che lo vedeva strano, nel senso che non usciva di casa, non stava più in mezzo a noi e non aveva più fiducia in lui dopo che aveva partecipato all’omicidio di Genny Cesarano. Io e Ciro andammo da Carlo Lo Russo per avere il permesso e lui ci diede il via libera”. E ancora rivelò: “La scusa per attirarlo in trappola fu la droga. Il giorno dopo l’omicidio andammo a casa di Aniello Di Napoli (padre della vittima poi ucciso nell’aprile del 2016 perché faceva troppe domande sulla morte del figlio, ndr) per le condoglianze. Se non ci fossimo andati avrebbe avuto sospetti su di noi e invece così pensò che ad uccidere Enzo erano stati quelli della Sanità”.
Parentele che però non avrebbero, secondo gli inquirenti, alcun legame con il movente che ha portato all’agguato nel quale sono morti Pasquale e Giuseppe. Un duplice delitto che ha fatto ripiombare nel terrore il Don Guanella.
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