Ucciso per una scarpa sporcata con un pestone, l’assassino condannato a 18 anni e 8 mesi

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Santo Romano

Diciotto anni e otto mesi. E’ la condanna inflitta dal gup del Tribunale per i Minorenni di Napoli, Umberto Lucarelli, al 17enne di Barra (vicino alla criminalità organizzata di Napoli est) imputato per l’omicidio di Santo Romano, il 19enne ucciso lo scorso 4 novembre in piazza Capasso, a San Sebastiano al Vesuvio, al culmine di una lite scoppiata in piena movida, con un colpo di pistola. Il 17enne è stato ritenuto colpevole di omicidio volontario, tentato omicidio e porto abusivo d’arma da fuoco. Ma la sentenza, emessa a porte chiuse, ha scatenato l’indignazione dei familiari della vittima, che all’esterno del Tribunale, in viale Colli Aminei, hanno gridato “vergogna” e denunciato una giustizia che “non tutela le vittime”. Secondo quanto ricostruito nel corso delle indagini, coordinate dal pm Ettore La Ragione, il gesto che ha scatenato la lite sarebbe stato un banale “pestone sulla scarpa”. Una scintilla che ha innescato una spirale di violenza culminata in due colpi di pistola esplosi al petto, senza possibilità di salvezza per Santo, promessa del calcio (giocava come portiere dell’Asd Micri) e studente dell’istituto Archimede di Ponticelli. La Procura ha da subito parlato di delitto volontario, respingendo la linea difensiva dell’imputato – assistito dall’avvocato Luca Raviele – che ha cercato di sostenere di aver agito per difendersi. Fuori dall’aula, ad attendere la decisione del giudice, una folla di amici e compagni del giovane ucciso: da Casoria a Milano, passando per Ponticelli, decine di giovani si sono stretti attorno alla famiglia, che da mesi chiede giustizia. Tra loro, anche la madre, Mena De Mare, che ha ribadito: “Basta violenza, basta armi. Nessuna madre dovrebbe sopravvivere a un figlio”. Dura anche la reazione della fidanzata di Santo, Simona Capone, testimone diretta del delitto: “Mi aspettavo la pena massima per un minorenne. Non accetto l’idea che chi uccide a 17 anni possa essere reintegrato nella società come se nulla fosse”. Poi aggiunge: “Non è solo per il mio dolore personale. E’ una questione di principio: a quell’età non si può pensare di premiare chi toglie la vita con la promessa di una redenzione automatica”. Ad attendere la sentenza davanti al tribunale, anche la mamma di Francesco Pio Maimone, anche lui ucciso durante una rissa per un paio di scarpe sporcate. “Il delinquente in carcere costa soldi – ha detto ancora la donna – lo Stato nasconde questo, prendetevi le leggi americane, a Giorgia Meloni sono cinque anni che lo dico: ‘Se fosse successo a te cosa avresti fatto? I nostri figli muoiono per colpa loro”. Un caso che interroga la giustizia minorile e il fenomeno delle baby gang. L’omicidio di Santo Romano si inserisce in un contesto sempre più allarmante: quello della criminalità giovanile nel Napoletano, dove armi e violenza fanno ormai parte del tragico bagaglio di molti adolescenti. Il fatto che il delitto sia avvenuto in strada, tra coetanei, per futili motivi e con un’arma da fuoco, solleva interrogativi sulle reti che forniscono supporto logistico a questi giovani, e sui legami con la criminalità organizzata, da tempo infiltrata anche tra le cosiddette baby gang. Sebbene l’inchiesta non abbia formalizzato il coinvolgimento diretto di clan camorristici nel delitto, il modus operandi, la disponibilità immediata di una pistola e la determinazione nell’agire suggeriscono contesti ambientali devianti su cui le forze dell’ordine continuano a indagare. Un sottobosco di adolescenti che crescono con la convinzione che la violenza sia una risposta lecita alle offese, anche le più lievi Ora, mentre la famiglia di Santo Romano piange un figlio e chiede giustizia piena, il caso diventa emblematico di una deriva giovanile che la giustizia minorile deve affrontare con nuovi strumenti, capaci di coniugare tutela sociale e reale deterrenza. La condanna, benché severa per un minore, lascia aperto il dibattito: basta punire per redimere? E quando la punizione appare insufficiente agli occhi della collettività, come si ricuce lo strappo tra giustizia e società?

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