Che l’Italia sia un paese in braghe di tela, dal punto di vista economico, è cosa risaputa da tempo. Viviamo pericolosamente aspettando gli esiti delle aste d’acquisto dei nostri titoli di Stato (Bot e Cct) nel mentre gli interessi passivi sul debito statale sfiorano i cento miliardi di euro ogni anno. Insomma per intenderci paghiamo stipendi, pensioni e sanità coi soldi che ci prestano gli investitori. Tuttavia gli italiani se ne fregano altamente e quando possono continuano ad evadere tranquillamente le tasse, sperando che lo Stato tiri a campare, in un modo oppure nell’altro. In verità, per contenere il deficit, per più di un ventennio i governi che si sono susseguiti hanno adottato manovre “lacrime e sangue”, alienandosi le simpatie dei politici falsamente ritenuti responsabili dello sperpero di pubblico danaro, peraltro godendo degli agi della cosiddetta “casta”. La verità è che mezzo secolo di governo della nazione con l’utilizzo della leva del debito pubblico crescente, ha finito con l’impoverire lo Stato con l’adozione di costosissime leggi senza copertura di spesa, varate per compiacere blocchi sociali e clientele elettorali. Ma quello che ha definitivamente seppellito il “sovranismo” è stata la nuova politica assunta da Bruxelles e l’abbandono del “rigore economico” in ragione delle crisi economica e produttiva creatasi con la pandemia da Covid.
Alla malora le preoccupazioni per il debito statale ed il rapporto tra questi ed il prodotto interno lordo giunto al 150%! Per essere chiari: abbiamo debiti pari ad una volta e mezzo l’intero prodotto di ricchezza annuale dello Stato. Ripartito, quel debito pro capite assegna ad ogni cittadino italiano, neonati compresi, centomila euro di debito da pagare. Tuttavia, venendo ai nostri giorni, il prestito Ue di ben duecento miliardi ha rinvigorito la prospettiva di spesa pubblica, determinando un largo consenso politico ed il nascere del governo tecnico di solidarietà nazionale con l’ex governatore della Bce Mario Draghi a gestire i flussi finanziari ed i progetti per spenderli. L’enfasi di poter gestire la più ingente mole di spesa che la Repubblica ricordi. Circostanza, questa, che alletta tutti i partiti, ad esclusione – forzata dai veti – di Fratelli d’Italia, rimasto all’opposizione. È questo il vero collante che tiene insieme i partiti ed il governo. Tuttavia nessuno può stare mai tranquillo sotto il cielo della politica interna ed internazionale, soprattutto quando quest’ultima riverbera pesanti effetti sulle politiche degli stati nazionali e la stessa comunità europea. Gli eventi in Afghanistan, con il loro carico di drammi umanitari e di considerazioni amare per la sconfitta per l’Occidente, turbano i sonni dei governanti nel mondo. Lo stesso vale per la pandemia virale che, lontana dall’essere vinta dalle vaccinazioni di massa (che il “mainstream” internazionale ha scelto come unico rimedio), innanzi alle mutazioni del virus, vede cadere le millantate sicurezze sulla salvifica possibilità dell’instaurarsi dell’immunità di gregge.
Insomma, siamo di nuovo al fronte a combattere sia il morbo epidemico e la crisi produttiva sia le incognite derivanti dalla erronea scelta di aver ceduto alla Cina del ruolo di “guardiano” in Afghanistan. Pechino ringrazia e si prepara ad impossessarsi dei ricchi giacimenti di materie prime di quel paese, sottraendo risorse naturali e mercati ai naturali concorrenti giapponesi ed indiani. Un subbuglio, insomma, che investe tutto il mondo occidentale i cui leader politici balbettano innanzi ai nuovi scenari geo politici, nel mentre borse e mercati si interrogano sui futuri assetti internazionali che potrebbero cambiare e con gli occidentali che, basiti, si sentono di nuovo minacciati da futuri attacchi terroristici della jhad islamica. Solo un intrepido uomo politico mostra nervi d’acciaio e placida calma. Non si cura dei fatti narrati. Poco si preoccupa che le nostre imprese ed i nostri connazionali devono essere messi al sicuro da eventuali rappresaglie talebane. Non occorre avere il bernoccolo dell’intelligenza politica per comprendere che essendo stati gli italiani parte integrante della forza internazionale che ha combattuto in armi i nuovi padroni dell’Afghanistan, potrebbero subìre ritorsioni di ogni tipo. Questo uomo intemerato è il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, uno degli inventori del nuovo clientelismo politico elettorale che va sotto il nome di reddito di cittadinanza, colui che ha sconfitto la povertà in Italia. In perfetto stile balneare, ciabatte e costumino elegante, viene segnalato sulle spiagge pugliesi. E che vadano in malora l’unità di crisi della Farnesina ed i rapporti di consultazione costanti con i governi degli alleati europei. In fondo un ministro del genere, peraltro in mutande, è quello che merita un paese in braghe di tela.