CASAL DI PRINCIPE – Veleni e poca fiducia nella cosca. Gianluca Bidognetti Nanà, figlio ed erede mafioso dell’ergastolano Cicciotto ‘e mezzanotte, mentre era recluso nel reparto di ‘alta sicurezza’ di Terni, riusciva agevolmente a dettare la linea ai suoi affiliati. Nel 2022, poco prima che l’inchiesta della Dda di Napoli certificasse proprio il suo ruolo al vertice della catena mafiosa (che partiva dalla prigione umbra e arrivava nell’Agro aversano), Nanà iniziò a non essere più soddisfatto dell’operato di uno dei suoi principali esecutori, Giosuè Fioretto, ex marito della zia. Non si fidava. E così decise di sostituirlo nella gestione della compagine. Al posto di Fioretto scelse Nicola Gargiulo Capitone, storico esponente del clan.
A raccontare questo spaccato criminale ai magistrati della Dda di Napoli sono stati i collaboratori di giustizia Vincenzo D’Angelo Biscottino, genero del capoclan Francesco Bidognetti (padre di Gianluca), e Antonio Lanza, capozona di Lusciano e amico di Nanà.
D’Angelo ha indicato nel 2023 Gargiulo come attuale “reggente” dei Bidognetti. Tale investitura, ha riferito il collaboratore, avvenne nei primi mesi del 2022. Una decisione che fu presa da Nanà durante una videochiamata con Capitone, sul telefono di Giovanni Sabile mentre si trovavano, ha raccontato Biscottino, a casa di Giuseppe Carrano a Chiaiano. In cosa consisteva questa reggenza? Gargiulo raccoglieva i proventi delle attività gestite dal clan, li distribuiva agli affiliati e risolveva controversie in ambito di spaccio e estorsioni. Racconto confermato anche da Lanza, che ha detto di aver avuto contatti con Gargiulo fino alla sera prima del blitz del novembre 2022, che lo portò in carcere. Insieme, ha dichiarato, gestivano la cosca eseguendo le direttive che Nanà impartiva telefonicamente. Le chiamate venivano ricevute o presso l’abitazione di Federico Barrino o da tale ‘Peppe di Miano’. Lanza ha chiarito che, data la storica vicinanza di Gargiulo a Cicciotto, era lui a occuparsi di riscuotere le entrate provenienti dai servizi funebri e che possedeva le chiavi dell’ufficio di una società di pompe funebri, utilizzato per riunioni con esponenti del gruppo Schiavone.
Le informazioni fornite dai pentiti, oltre a tracciare un clima poco sereno nell’organizzazione criminale, hanno portato la Dda a contestare a Gargiulo il reato di associazione mafiosa. Con lui, nella stessa indagine condotta dai carabinieri del Nucleo investigativo di Aversa, sono stati coinvolti Nicola Pezzella e Antonio Fusco. Il primo, di Casale, è ritenuto referente degli Schiavone, mentre il secondo, di Castelvolturno, è un imprenditore considerato vicino a Bidognetti. L’inchiesta è sfociata lunedì scorso in un’ordinanza cautelare per i tre appena citati, e anche per Hermal Hasanay, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, e per Umberto Meli, che risponde di estorsione in concorso con Hasanay. Operazione che ha avuto come obiettivo quello di infliggere l’ennesimo colpo al clan dei Casalesi per renderlo ulteriormente debole.
Gli indagati sono da ritenersi innocenti fino a un’eventuale sentenza di condanna irrevocabile. Nel collegio difensivo, gli avvocati Ferdinando Letizia e Danilo Di Cecco.
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