SANT’ARPINO (Carla Caputo) – “Sono un poeta, un grido unanime, sono un grumo di sogni”. Questo uno dei versi più amati di Giuseppe Ungaretti, poeta nato ad Alessandria d’Egitto nel 1888 e formatosi a Milano, dove è morto nel 1970. Solo tre anni prima della sua scomparsa, il grande poeta italiano ha incontrato una persona che gli ha stravolto la vita facendo rinascere lui e la sua poesia. Questa persona era una donna, la 26enne Bruna Bianco, che nell’estate 1966 si presentò al 78enne Ungaretti durante una sua conferenza in Brasile. Vestita di rosso, si avvicinò al poeta per fargli leggere delle sue poesie, e da una conversazione che durò circa un’ora e mezza scoppiò l’amore tra i due, divenuto le 17 poesie raccolte nel libello ‘Dialogo’ e un repentino scambio di lettere avvenuto nei periodi in cui i due innamorati erano lontani. Le lettere state conservate dalla Bianco in una cassapanca per 50 anni, quando nel 2017 decide di pubblicarle, dando vita ad un vero e proprio epistolario intitolato “Lettere a Bruna” edito dalla Mondadori. Oggi Bruna Bianco è un’avvocatessa brasiliana di grande successo ma porta con sé il ricordo del maestro, definito da lei ‘furbetto’. L’altro ieri è stata ospite d’onore a Sant’Arpino presso il palazzo Ducale “Sanchez De Luna” nell’ambito della rassegna nazionale di Teatro Scuola organizzata dall’Associazione “Pulcinellamente”. L’evento ha visto i saluti del sindaco Giuseppe Dell’Aversana, gli interventi della preside dell’istituto comprensivo “Rocco- cav. Cinquegrana” Maria Debora Belardo, del direttore della Casa Della poesia di Salerno Sergio Iagulli e del filosofo e poeta Giuseppe Limone. A moderare il direttore di Pulcinellamente, Elpidio Iorio. I testi sono stati interpretati dall’attore Pio Del Prete e intervallati da brani a cura del coro dell’istituto comprensivo.
Quando ha incontrato per la prima volta Ungaretti? Quanto la poesia ha influenzato il vostro rapporto e quanto il vostro rapporto ha influenzato la poesia?
Quando andai da Ungaretti, io non sapevo fosse un grande poeta. Io scrivevo poesie e volevo conoscere un poeta italiano per capire se i miei versi avessero un valore. Io rimasi folgorata dal suo italiano, mi toccò la mano e mi invitò a colazione. Io mi vergognai tantissimo. Quando mi accompagnò alla porta, mi cinse sui fianchi ed io lì mi sentì un fuoco dentro. Quando tornai in Italia capì chi fosse davvero il mio Ungà. Lui levigò la mie poesie affinché fossero degne della semplicità ed io gli davo il fuoco perché lui continuasse a scrivere. Allora ci fu uno scambio: lui mi aiutò ad uscire dall’ignoranza, ed io l’aiutai a uscire dall’antico, dalla vecchiaia. Lo feci germogliare alla vita giovane.
Ungaretti diceva che le parole sono “pietre”, le ha mai parlato di questo aspetto?
Sì, per lui le parole sono impotenti perché non riescono ad esprimere tutto ciò che abbiamo dentro. Anche la poesia per lui doveva essere levigata, come una pietra appunto, per essere più semplice, perché quel che detestava nella poesia era l’eccesso di retorica che per lui falsificava il senso vero della poesia. Lui mi sgridava perché io coreografavo troppo la poesia. Per lui la verità poetica era la semplicità.
Quale lettera ha amato di più?
Quella più semplice dove lui mi diceva ‘Io ti amo’. Per me era tutto in quella frase.
Quanto è stato difficile stare accanto ad un uomo impregnato d’arte? Com’erano i suoi momenti di genesi creativa?
Io credo che lui sia geneticamente nato con la poesia dentro. Aveva una cultura immensa, ha tradotto tutti i grandi poeti. Era una sorgente continua. Lui scriveva poesie ovunque, riusciva a dettarle mentre le immaginava. Aveva la poesia nel cuore, era spontanea.
Ungaretti ci diceva che la poesia conserva un segreto. Lei è riuscita a svelare questo segreto?
Sì. Il segreto è la verità. Ma anche la positività. Lui mi diceva di andare sempre avanti e non guardare mai indietro. Il suo messaggio di forza, oggi come ieri, è dentro me.
Lettere a Bruna: lei ci dice che ha compiuto un errore a credere che quelle lettere fossero per lei, perché?
Io ero giovane, ero amata da lui 24 ore al giorno. Giuseppe mi faceva sentire la più bella e la più amata del mondo. Per questo, ero convinta che quelle lettere, tutte scritte con una penna di colore verde, fossero una cosa solo mia, volevo bruciarle assieme alla mia morte. Quando poi ho iniziato a trascriverle, ho capito che tutti i suoi messaggi di forza e di amore, che mi hanno fatto da scudo contro tutte le avversità della mia vita, dovevo donarli ai giovani, agli studiosi e a tutti i lettori affinché credano all’amore e all’arte come due pilastri di vita. Ora le lettere non appartengono più a me, ma all’umanità.