La monaca di Monza

L'intervento dell'ex parlamentare Vincenzo D'Anna su "Cronache"

in foto Matteo Salvini, Luigi Di Maio

Si sono certamente sbagliati e, spero, in buona parte ravveduti, quanti hanno creduto nella cosiddetta “rivoluzione popolare”, quella nella quale gli ultimi e gli anonimi avrebbero cacciato via i detentori del potere, corrotti ed incapaci. Lo stesso dicasi di quanti avevano sperato nel populismo truce e sbrigativo di Salvini, rimedio per l’insicurezza degli italiani, l’egoismo degli xenofobi e le partite Iva del Nord Est desiderose di sottrarsi alla “tosatura” delle tasse. Secondo i profeti del “credo” gialloverde, tutto quanto era stato contaminato dalla “politica” risultava infetto e contrario ai canoni della nuova moralità grillina nonché agli interessi diffusi del cosiddetto popolo sovrano. Ma non furono solo l’astuzia e la mendace storia politico parlamentare riscritta dai pentastellati né il seme della “paura del diverso” e della precaria sicurezza sociale sparso dai leghisti a determinare gli esiti di quell’ormai arcinota vittoria elettorale (di M5S e Carroccio), quanto il lessico antiquato che la politica volle continuare ad usare anche nell’era della comunicazione veloce, diffusa attraverso i social, ove si parlava un’altra lingua e si leggeva un altro racconto della vita della Nazione. A poco valeva che il web fosse ritenuto un ritrovo per shampiste, gente incolta, disoccupati, protestatari di ogni foggia e colore che invocavano “l’alternativa al sistema”. Quello strumento servì per far percepire a tanta gente che poteva essere protagonista, denunciare un disagio diffuso, che i pidocchi potessero divorare il  vecchio Leone. Il tutto condito con un lessico poco o niente acculturato, ma che garantiva, a chiunque  si fosse collegato, di lanciare proclami e giudizi sul “da farsi”. In vero, il linguaggio era per la maggior parte fatto di invettive, di analisi approssimative, se non di vere e proprie “fake news” diffuse ad arte. E tuttavia quella era l’unica parola che veniva compresa e divulgata, con la compiacenza di quella parte di stampa che, fiutato il vento, si era già  schierata contro governo e istituzioni. Fu così che molti credettero nell’avverarsi di una rivoluzione fatta dal popolo mediante la quale la “massaia” alla quale Lenin confidava di poter affidare la guida dello Stato, avrebbe raggiunto il potere. Tralasciando, per esigenze di spazio, di tornare sulla catastrofe dei conti pubblici e sul flop delle politiche di sostegno assistenziale (leggi reddito di cittadinanza), andiamo a guardare lo stato delle cose a poco più di un anno dall’insediamento dell’esecutivo Conte. Tra leghisti e grillini siamo ormai alla bagarre continua. Tutto il vecchio armamentario viene rimesso in uso, a cominciare dal professare il moralismo ed il giustizialismo farlocco di fronte al primo avviso di garanzia, a patto, ovviamente, che non sia indirizzato verso le proprie fila. Un pollaio nel quale smentite, accuse, pacificazioni e nuove guerre si susseguono a 360 gradi. Ma state tranquilli. Vedrete, subito dopo le elezioni, i toni fra Salvini e Di Maio torneranno a farsi concilianti. Questo idillio rifiorirà quando lo scaltro segretario del Carroccio registrerà il primato dell’urna ribaltando quello precedente in favore dei 5Stelle. Salvini  ormai veleggia col vento in poppa e tutto torna a suo vantaggio lasciando  presagire un largo successo elettorale (intorno al 40 %). E’ qui però che torna alla mente il parallelo con Renzi che certo sbancò alle ultime europee, ma che nonostante il risultato eclatante, per miopia politica, si illuse di aver ingrandito le fila della Sinistra (e quelle del Pd) battezzando come suoi i voti in libera uscita dal centro moderato e liberale. I fatti avrebbero detto in seguito che era una svista clamorosa e che il partito della Nazione, quello in cui il buon Matteo non aveva creduto, avrebbe dato sostanza e peso ad un movimento di tutti i sinceri e convinti riformisti, di ampio respiro e consenso a vocazione maggioritaria, sulle ceneri di quella frammentazione partitocratica dovuta al sistema proporzionale che oggi limita ed affligge la politica (ed il governo). Salvini arriverà allo stesso bivio di Renzi e dovrà porsi lo stesso problema: dare contenuti e prospettiva alle preferenze raccolte. Non varrà a nulla rivendicare il successo elettorale come fece l’altro Matteo. A chi ripeteva che in politica contano i voti, Indro Montanelli rispondeva: “I voti li prese pure la monaca di Monza, ma non ne fece buon uso”.

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