Premessa indispensabile a questo articolo è la preventiva dichiarazione che l’autore deve rendere perché non si facciano illazioni speculative sul contenuto. Siamo quindi a dichiarare che, ancorché fermamente convinti che il liberalismo sia la migliore dottrina socio economica sulla quale edificare una società aperta ed uno Stato minimo laico ed efficiente, tali assunti concettuali non debbano in alcun modo minare la fede religiosa di quanti credono. Cosa possibile, questa, se si seguono i dettami del liberalismo cattolico. Inteso, quest’ultimo, come la capacità di attingere nella dottrina sociale della Chiesa quegli indirizzi utili all’edificazione di società solidali. Fondato su questi principi, il capitalismo risulterà ben temperato, attenuando taluni aspetti meramente utilitaristici e speculativi che pure gli sono propri. Tale filosofia ha trovato nel pensiero di Antonio Rosmini, Giuseppe Toniolo e don Luigi Sturzo i propri punti di riferimento. Fu appunto su queste basi che nacque il popolarismo liberale che guardava alla Chiesa come “Mater et Magistra” capace di porre l’Uomo al centro della società, quale portatore di diritti e libertà. Un umanesimo che guardava agli individui come depositari di dignità e di tutele da parte di uno Stato rispettoso e tollerante, sollecito e solidale verso gli svantaggiati nella corsa della vita. In disparte i meriti ed valori che il Cristianesimo ha saputo rappresentare nel corso dei secoli per l’affermazione di società aperte a valori etici fondativi sui quali hanno potuto contare intere generazioni. Finanche il relativismo etico, che è un corollario del liberalismo, ha trovato, in quello cattolico, la sua giusta applicazione, affinché il regime delle libertà individuali e dei diritti non conculcabili non travolgesse l’etica pubblica e la morale. Chi crede ha un motivo non solo spirituale, ma anche deontologico e si assoggetta meglio a vivere in società che tendono all’equità e non all’uguaglianza forzata. Non è un caso fortuito ma un dato costante che la Chiesa sia sempre stata una voce libera in difesa degli oppressi e delle vittime di ingiustizie sociali ma non esclusivamente di quelle. Quindi il credente riesce ad essere un buon cittadino sapendo coniugare il rispetto delle leggi col proprio sentimento religioso, i comandamenti ai quali si ispira la dottrina cattolica. In questo contesto, fatto di realtà concrete e perpetuate nel tempo. Proprio per questo ha quindi bisogno di seguire i anche i dettami del proprio credo, inserito in quella Chiesa che svolge un ruolo fondamentale, in materia di indirizzo e testimonianza. Il Papa non solo è al vertice di una complessa macchina organizzativa e spirituale che orienta le coscienze di milioni di cattolici in tutto il mondo, ma riveste anche la funzione dogmatica di vicario di Cristo in terra e di erede degli Apostoli. Egli è infallibile in materia di fede ed è guida morale e spirituale di tutti i credenti. Ne discende che se questa guida traballa ed appare incerta, oppure inadeguata, inusuale o incomprensibile, lo sconcerto nei fedeli diventa inevitabile. Non a caso gli scismi e la nascita di nuovi gruppi di professione cristiana sono sorti dal disorientamento che l’agire del Papato ha destato nelle menti e nella coscienza dei credenti. Da Lutero a Calvino fino ad Enrico VIII d’Inghilterra, tutto è nato da posizioni di contrasto con l’agire del Pontefice Massimo e della Chiesa. Ancora oggi, ogni azione compiuta dal soglio di Pietro ha ripercussioni di amplissima dimensione sul piano storico e politico. Se cattolico etimologicamente significa “universale”, la Chiesa non può preferire una visione limitata del mondo e della sua missione politica e pastorale. Papa Francesco non cerca di essere un Pontefice, ma un gesuita missionario che guarda al mondo dei poveri e riduce l’ecumenismo alla cura di un segmento, per quanto prioritario, dell’umanità. Niente a che vedere con la fine teologia e la visione di Benedetto XVI: niente dottrina ma cura pastorale ad indirizzo di società socialiste, volta alle classi disagiate. Siamo all’applicazione della teoria della “Liberazione” e non nel dettato sociale della Chiesa. Non la figura ieratica del successore degli Apostoli, ma una che somiglia a quella del curato di campagna descritto da Georges Bernanos, testimone di una fede che non rassicura e non redime. Insomma: una continua banalizzazione del ruolo del Vescovo di Roma che rinuncia all’aura di solennità che pure un così alto ufficio richiederebbe. Ora pare che Bergoglio si accinga ad andare alla trasmissione di Fabio Fazio “Che tempo che fa” rischiando, così, di trasformarsi in una delle tante icone del piccolo schermo: un personaggio popolare ed acclamato solo dai semplici. Un giorno forse lo troveremo innanzi ad un bar a bere una birra o, chissà, in tv a partecipare ad un quiz show! Da bambini cantavamo “sempre col Papa fino alla morte”. Ma del Papa, non di chi si riduce ad essere un semplice prete!