VILLA LITERNO – Ogni boss ha la sua cerchia di imprenditori. Quella di Michele Zagaria, grazie alle inchieste della Dda, si sta sgretolando giorno dopo giorno. A dare il colpo di grazia alla cosca Schiavone, invece, ci sta pensando il figlio di chi l’ha fondata: “Al momento della cattura – ha raccontato Nicola Schiavone – anche io avevo una rete di uomini di fiducia che facevano affari con me o nel mio interesse, con ciò contribuendo alla vita del clan ed anche alle mie risorse personali”. Il primogenito di Sandokan ha fatto i nomi e cognomi: un elenco fitto di colletti bianchi ora in mano ai pm dell’Antimafia. Il collaboratore di giustizia ha indicato pure i lavori che avrebbero garantito negli anni all’organizzazione ingenti somme di denaro.
Schiavone con i magistrati non ha parlato soltanto delle dinamiche interne alla propria fazione, ma ha indicato pure numerosi affari che trasversalmente lo hanno coinvolto con gli altri padrini. “Un lavoro fu gestito da me e da Antonio Iovine tramite la complicità dell’appaltatore Giovanni Malinconico a lui legato. Si trattava di lavori dell’Asi di Villa Literno”. Nel verbale, depositato nel processo in Appello a carico di Enrico Fabozzi e dei fratelli Giuseppe e Francesco Mastrominico (accusati di concorso esterno al clan, assistiti dai legali Mario Griffo, Vittorio Giaquinto e Francesco Picca), non emerge il periodo in cui si sarebbe concretizzata l’opera. “Se ben ricordo la stazione appaltante era a Caserta o a Marcianise ed era diretta da Enzo Natale (non indagato ed innocente fino a prova contraria, ndr.)”. L’imprenditore di Casal di Principe, con affari nel sammaritano, si sarebbe attivato “per affidare i lavori a Malinconico a danno di un’impresa che fiduciariamente era legata a Dante Apicella”. Ma gli affari che muovevano cifre sostanziose rischiavano di creare frizioni nella ‘cupola’, soprattutto con il boss di Casapesenna. “Questo lavoro in particolare fu anche motivo di dissidi al vertice del clan tra me, Iovine e Zagaria”.
La volontà di Capastorta di gestire i business in autonomia, ha riferito il pentito, è stata la causa principale di una guerra intestina ai Casalesi che in più occasioni ha rischiato di sfociare nel sangue.
Le relazioni tra Zagaria e Schiavone si sono interrotte dopo il duplice omicidio Antonio Salzillo-Clemente Prisco, avvenuto nel 2009. Diverse volte in udienza, quando è stato chiamato a depositare, il collaboratore di giustizia ha solo sfiorato l’argomento: è stato sempre bloccato dagli inquirenti nel momento in cui aveva cominciato a fornire dettagli. Indagini ancora in corso. Ad ogni modo quello scontro aveva attivato nei due boss uno scrutarsi e studiarsi a vicenda. E grazie a quelle azioni di reciproco controllo i capiclan entrarono in possesso di informazioni fondamentali per tracciare i meccanismi mafiosi. Ma se Michele Zagaria ha deciso di tenersele per sè, ribadendo in udienza, venerdì scorso, nel tribunale di Aversa, il suo no alla collaborazione con la giustizia, Nicola Schiavone da luglio sta raccontando tutto. Ha riportato agli inquirenti ogni dettaglio ottenuto dallo ‘spionaggio’ sugli Zagaria. “Avevamo deciso di passare per le vie di fatto”, ha chiarito il figlio di Sandokan. Era pronto ad uccidere il rivale. Il pentito ha indicato anche un fiancheggiatore di Capastorta, finora rimasto nell’ombra, che si occupava di spostare l’allora primula rossa di Casapesenna durante la latitanza. Quel ragazzo, stando alle dichiarazioni di Schiavone, in un’occasione consegnò su ordine di Zagaria un’ingente somma di denaro ad Alessandro Falco, ex patron del Jambo, assistito dagli avvocati Paolo Trofino e Alfredo Marrandino (a processo per camorra dinanzi al tribunale Santa Maria Capua Vetere). Anche quel nome al momento non è stato rivelato. Indagini in corso, ma che a breve potrebbero determinare i primi risultati
Villa Literno, il pentito: “Il clan sull’affare Asi”
Le dichiarazioni di Nicola Schiavone: “Il lavoro fu gestito da me e Antonio Iovine”. Il figlio di Sandokan: “Enzo Natale intercesse per affidare gli interventi a Malinconico”