Violati i sigilli della casa confiscata al boss dei Casamonica: denunciata la nuora

Vanno avanti senza sosta a Roma i controlli su affari, case e occupazioni legate al gruppo dei Casamonica

Foto LaPresse - Andrea Panegrossi

ROMA – Violati i sigilli della casa confiscata al boss dei Casamonica: denunciata la nuora. Vanno avanti senza sosta a Roma i controlli su affari, case e occupazioni legate al gruppo dei Casamonica. Una 19enne, compagna del figlio del boss Giuseppe, è stata denunciata dai carabinieri perché trovata all’interno di un appartamento confiscato.

La giovane aveva staccato i sigilli, danneggiato la serratura della porta d’ingresso e si era sistemata nella casa del suocero. Che lo scorso 17 luglio i carabinieri del Nucleo investigativo di Frascati, avevano confiscato e affidato all’Agenzia nazionale dei beni confiscati, a seguito della cosiddetta operazione ‘Gramigna’.

“Roba da matti!”, È il commento, quasi in tempo reale del ministro dell’Interno Matteo Salvini. “Una donna del clan Casamonica rompe i sigilli, sfonda e rioccupa – scrive su Twitter -. Sgomberata, di nuovo. Toglietevelo dalla testa. La legalità vince, la pacchia è finita! #lamafiamifaschifo”.

Violati i sigilli della villa, interviene il personale dell’Agenzia nazionale dei beni confiscati

Sul posto, in Vicolo di Porta Furba 55, è intervenuto il personale dell’Agenzia nazionale dei beni confiscati, assegnataria dell’immobile che, con i carabinieri presenti, ha riparato la porta d’ingresso, cui sono stati posti nuovi sigilli. La ragazza dovrà rispondere di occupazione abusiva.

Sono oltre trenta le persone finite in arresto il 17 luglio scorso, nell’operazione dei carabinieri del Nucleo investigativo di Frascati coordinati dalla Direzione distrettuale antimafia: tra di loro, 11 donne e il capo Giuseppe Casamonica.

Sono accusati, a vario titolo, di far parte di un’associazione di tipo mafioso dedita al traffico e allo spaccio di droga, all’estorsione, l’usura, la detenzione illegale di armi e tanto altro.

Le indagini hanno documentato “l’esistenza di un’associazione mafiosa autoctona strutturata su più gruppi criminali, prevalentemente a connotazione familiare”, scrive chi indaga. Il gruppo, secondo la procura, controllava, dal quartier generale di Porta Furba, lo spaccio di tutta l’area sud est della città, anche grazie a forti legami con altri gruppi di mafia.

© 2018 LaPresse/Alessandra Lemme

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