ROMA – Ora che è arrivato in cima serve un ultimo passo per toccare la storia con un dito. Perchè il cielo è stato già raggiunto. Matteo Berrettini, primo italiano in finale a Wimbledon nel torneo, il quarto in uno Slam nel singolare maschile, ora che respira l’aria frizzante di chi sta sul punto più alto della sua carriera, ci crede. Accarezza l’erba di Wimbledon e con il pieno di autostima e furore agonistico, guarda con fiducia l’orizzonte, puntando all’impresa da realizzare in una domenica tutta tricolore che coincide con la finale di Wembley a 25 chilometri di distanza degli Azzurri di Mancini. “Era troppo perfino per un sogno”, ha dichiarato dopo aver piegato in semifinale il polacco Hurkacz. Eppure tutto questo non l’ha solo sognato ma realizzato davvero e contro il numero uno Novak Djokovic, che di finali dello Slam è arrivato a quota 30 e non intende affatto smettere, l’idea è quella di tracciare un solco, mettere un primo sigillo alla sua carriera e fare da spartiacque per il tennis italiano.
Berrettini è il primo italiano nella finale di uno Slam diverso dal Roland Garros in singolare maschile (terra nobile per Sirola, Pietrangeli e Panatta), un risultato che va oltre, significa anche superare le barriere e tracciare i confini di una scuola tennistica per diversi decenni costruita, glorificata ed esaltata quasi esclusivamente (almeno in campo maschile) sulla terra rossa. E che ora invece guarda, grazie a questo ragazzo metropolitano che tifa Fiorentina, all’erba del vicino, senza pensare o convincersi che sia più verde. Con eleganza e potenza, con una prima di servizio da superstar e una risposta ‘pesante’ da fuoriclasse, Berrettini si giocherà le sue chance contro il serbo, vincitore delle ultime due edizioni di Wimbledon e in serie positiva da 20 partite al Church Road. Messa così sembra una vetta impossibile da valicare ma è lo stesso Djokovic ad avvertire che sarà una domenica da battaglia. “Mi aspetto un match estremamente duro. Matteo non ha niente da perdere, forse invece è diverso per gli Azzurri. Mi auguro che l’Italia vinca soltanto la sera, quella del calcio”, ha dichiarato il serbo con una battuta e un sorriso nervoso. “Non ci siamo mai incontrati sull’erba. È la sua prima finale in uno Slam. Speriamo che la maggior esperienza mi aiuti. Lui sta giocando il suo miglior tennis, in particolare il servizio e il dritto sono diventati tra i migliori del circuito. Matteo ha molto talento e anche tatticamente è molto intelligente, sa costruire bene il punto, è aggressivo da subito. Ci conosciamo bene, ci siamo anche allenati insieme prima di venire a Londra”, ha aggiunto Djokovic.
Ancora una volta il serbo che punta al Grande Slam dopo i successi agli Australian open e a Parigi, è chiamato a ricacciare indietro la Next Generation. Berrettini avanza e chiede sempre più spazio. La sua finale non è il punto di arrivo come lo fu per Flavia Pennetta o Roberta Vinci finaliste agli Us Open del 2015 o per Francesca Schiavone vincitrice al Roland Garros nel 2010, ma solo l’inizio. Berrettini vuole che si avveri il sogno, come è accaduto a Ashleigh Barty che si è aggiudicata il suo primo Wimbledon in carriera superando in finale la ceca Karolina Pliskova, numero 13 del seeding, con il punteggio di 6-3, 6-7 (4), 6-3 in 1 ora e 59 minuti. Per la Barty è il secondo titolo del Grande Slam vinto in carriera, ma il primo sull’erba dell’All England Club. In precedenza ha vinto il Roland Garros nel 2019. Questo però è speciale.
di Luca Masotto