CASAPESENNA – “Ciccio glielo mandò a dire, non… lui tiene il pensiero che non gliel’hanno detto”. E’ l’imbasciata che Francesco Zagaria, imprenditore 53enne, avrebbe cercato di far arrivare al boss Michele Capastorta Zagaria. Un’informazione per tenerlo in guardia, per comunicargli che era braccato dalla polizia, che il covo di via Mascagni era bruciato.
A parlare del rapporto strettissimo tra Ciccio ‘e Brezza e il capoclan sono tre donne: Antonietta Carlino, moglie di Salvatore Carlino (imputato per riciclaggio aggravato dalla finalità mafiosa), la sua vicina di casa, Stefania Pratillo, e la nipote, Giovanna Scione (tutte non indagate ed innocenti fino a prova contraria). Era il 9 dicembre del 2011 e in auto (dove i carabinieri avevano installato una cimice) commentavano la cattura del latitante avvenuta due giorni prima. L’imprenditore era vicinissimo al padrino dei Casalesi. Vicino a tal punto da avere i canali per fargli arrivare messaggi.
La Carlino, chiacchierando con la Pratillo e la Scione, sostenne che Ciccio aveva messo in allerta il boss: le forze dell’ordine stavano seguendo i movimenti di Rosaria Massa, all’epoca moglie di Vincenzo Inquieto, ultimo vivandiere di Capastorta. Era in pericolo, doveva lasciare Casapesenna. Non lo fece. “Glielo mandò a dire, dice che forse, lui ha lo scrupolo che forse non gli è pervenuta la notizia. Non gli è arrivato all’orecchio. Hai capito?”. La conversazione intercettata tra le tre donne è stata inserita nell’indagine dei carabinieri che due anni fa portò al primo arresto del 53enne. Gli omicidi, la politica, gli appalti e le bische: per la Dda sono le tappe principali del percorso criminale di Francesco Zagaria. A loro va aggiunto un legame diretto con il capoclan. Caratteristica più unica che rara per un affiliato (non parente) di Capastorta. Ed ora che il business-man trapiantato a Capua, tornato in cella lo scorso febbraio, sta parlando con i magistrati dell’Antimafia, proprio i suoi pregressi rapporti con il padrino potrebbero aiutare lo Stato a sgominare la rete che per anni lo ha protetto.
Il 53enne è in prigione cautelarmente con l’accusa di associazione mafiosa, violenza privata ai danni di un aspirante consigliere comunale di Capua (la vicenda riguarda le elezioni del 2016) e concorso nei delitti di Sebastiano Caterino e Umberto De Falco. Fino al gennaio 2017, quando venne raggiunto dalla prima ordinanza di custodia cautelare per concorso esterno al clan, era stato libero e quasi invisibile per gli investigatori: condizione che gli aveva consentito di fare impresa con ditte amiche, stringere patti con politici di primo livello della provincia casertana, investire nel settore caseareo e, a quanto pare, anche all’estero. Adesso le sue azioni criminali e le sue conoscenze della cosca possono rappresentare lo strumento che l’Antimafia cercava per dare il colpo di grazia agli Zagaria.