CASAPESENNA – È una storia durata oltre sedici anni, che non si è chiusa con il blitz di via Mascagni. È la storia della latitanza di Michele Zagaria, boss dei Casalesi. Una vicenda intricata, che non si è affatto esaurita con l’arresto del capo clan (avvenuto nel dicembre 2011). Per quale ragione? Perché ha (ancora) molte (troppe) zone d’ombra che vanno illuminate: capire chi ha consentito al mafioso di sottrarsi alla cattura per un periodo così lungo significa, oggi, individuare anche chi continua ad alimentare i patrimoni della sua fazione attraverso investimenti in Italia e all’estero. Perché quei soggetti rappresentano le tracce di un sistema che è riuscito a sopravvivere ad arresti e confische, diventando bravo a inabissarsi: ha fatto credere (ci ha provato) di essere scomparso. E invece – grazie all’azione di figure insospettabili che ne muovono ancora i fili – è tutt’altro che estinto. A poter aiutare gli investigatori a far emergere ciò che resta di questo sistema ancora attivo è Nicola Inquieto. Non è il primo collaboratore di giustizia proveniente dalle file della fazione Zagaria, ma per la sua vicinanza al boss, per la ramificazione internazionale e per aver gestito un asset fondamentale – il denaro – ha un potenziale informativo enorme, più attraente (dal punto di vista investigativo) degli altri pentiti.
Un potenziale che ha iniziato a emergere nei primi verbali di interrogatorio resi a fine novembre e depositati dall’Antimafia nel processo d’Appello ‘Jambo’, relativo alle presunte ingerenze di Michele Zagaria nel centro commerciale e nell’amministrazione comunale di Trentola Ducenta. In quei verbali, resi rispondendo alle domande dei pm Maurizio Giordano e Andrea Mancuso, Inquieto chiama in causa un imprenditore che, secondo la sua ricostruzione, avrebbe partecipato alla realizzazione di un bunker in via Po a San Cipriano d’Aversa, rifugio
utilizzato da Zagaria fino alla sua scoperta in un blitz nei primi anni Duemila. Si tratta di un uomo d’affari che è legato da rapporti di parentela con due soggetti già emersi nelle indagini sul mondo Zagaria. Il primo è Francesco Zagaria, alias Ciccio ’a Benzina, cognato del boss (era il marito di Elvira Zagaria), ritenuto l’eminenza grigia del gruppo (aveva contatti con i colletti bianchi), scomparso pochi giorni dopo il blitz di via Mascagni.
Il secondo è Domenico Magliulo, ex consigliere provinciale, condannato in primo grado per concorso esterno nel processo ‘Croce Nera’. L’imprenditore viene citato da Inquieto in relazione ai lavori di ampliamento del cimitero di Trentola Ducenta. Interventi che stava realizzando, ma sui quali, riferisce Inquieto, il fratello Vincenzo voleva mettere mano. Nicola Inquieto afferma di essersi fatto portavoce della volontà del germano chiedendo a Zagaria di intervenire; il boss, secondo quanto riportato dal collaboratore, gli disse di parlare direttamente con il costruttore, bypassando così l’amministrazione comunale dell’epoca guidata da Michele Griffo (assolto in primo grado dall’accusa di mafia e oggi imputato in Appello nello stesso processo Jambo insieme ad Alessandro Falco).
Zagaria – ha spiegato Inquieto – ordinò di trattare direttamente con l’imprenditore per tutelare la posizione di Vincenzo, uno dei suoi fiduciari, in modo che il cerchio esterno al clan non percepisse il reale peso che il fratello ricopriva all’interno dell’organizzazione (circostanza che, invece, sarebbe stata nota al costruttore, il quale – come già detto – si era anche occupato della costruzione del covo in via Po). Naturalmente, le dichiarazioni di Inquieto necessitano di essere riscontrate: non rappresentano verità assolute, ma costituiscono un passaggio significativo per possibili nuovi sviluppi investigativi sulle tante zone d’ombra che ancora ha la storia di Michele Zagaria.





















