CATANIA – Cinquanta condanne e due assoluzioni. Numeri pesanti quelli della sentenza di primo grado innescata dall’inchiesta contro il clan Laudani. Gli imputati hanno scelto di essere processo con rito abbreviato. Ad emettere il verdetto è stato il giudice Recupido.
Il grande ‘assente’
Nel verdetto manca Sebastiano Laudani, ritenuto il patriarca della cosca: l’uomo, infatti, è scomparso nel 2017. L’inchiesta realizzata dai carabinieri, denominata ‘Viceré’, è stata coordinata dai pm Antonella Barrera, Santo Distefano e Lina Trovato.
Il verdetto
Ad accendere i riflettori degli inquirenti sulla cosca hanno contribuito le dichiarazioni del pentito della famiglia Giuseppe, nipote di Sebastiano. Le pene più alte sono state incassate da Maurizio Tomaselli (16 anni di carcere), Santo Orazio e Sebastiano Laudani e Orazio Salvatore Scuto (per i tre 14 anni di reclusione a testa). I due assolti, invece, sono Sebastiano D’Antona e Sebastiano Laudani (classe ’83). Tra i condannati per concorso esterno figurano anche due avvocati: 6 anni e 8 mesi per Salvatore Mineo, e 7 anni e 4 mesi per Giuseppe Arcidiacono.
L’alleanza dei Laudani con la ‘Ndrangheta
L’attività investigativa dei carabinieri sui ‘Mussi di ficurinia’ (labbri da ficodindia), così sono chiamati gli affiliati della cosca, avrebbe fatto emergere una pericoloso alleanza tra la cosca catanese e la ‘Ndrangheta reggina.