Assemblea Pd, i Dem decidono il loro destino

Foto Fabio Cimaglia / LaPresse in foto Maurizio Martina

ROMA – Nelle prossime ore il Pd dovrà decidere cosa fare di se stesso. Quella di oggi pomeriggio è un’assemblea spartiacque, decisiva per comprendere se il Partito Democratico riuscirà ad uscire dall’irrilevanza politica a cui si è auto costretto negli ultimi mesi. All’ordine del giorno c’è la scelta del segretario attuale e, soprattutto, l’individuazione dei tempi del prossimo congresso. A meno che non ci siano ribaltoni dell’ultimo secondo, il reggente Maurizio Martina verrà confermato segretario. Ma la scelta dei tempi e dei metodi del congresso rimane un vulnus: da un lato Renzi e i renziani, che cercano di mantenere il più possibile il controllo sul partito, dall’altro Nicola Zingaretti che ha già deciso di scendere in campo, in mezzo chi non sa ancora che pesci prendere.

Nicola Zingaretti e la virata a sinistra del Pd

Zingaretti c’è ed è forse l’ultima speranza. Il governatore del Lazio sembra essere l’unica persona, ad oggi, in grado di imprimere quella svolta necessaria al Pd che dal 4 marzo in poi sbanda sempre più più. La scelta di Zingaretti comporterebbe due cose: una virata a sinistra abbastanza forte e, soprattutto, la costruzione e ricostruzione di un campo largo, capace di abbracciare le diverse sensibilità della sinistra. Un compito tutt’altro che facile e tutt’altro che scontato. Il primo ostacolo è uno e uno soltanto: Renzi e il renzismo. Già oggi, nella scelta del percorso congressuale, i fedelissimi di Matteo Renzi proveranno a mettere il bastone tra le ruote al governatore del Lazio.

Martina segretario e i tempi del congresso

Maurizio Martina dovrebbe essere confermato segretario. Ma la data del congresso non ci sarà. “Non posso fare il segretario yogurt, a scadenza“, aveva spiegato ieri l’attuale reggente. Le ipotesi sono tre. Congresso in autunno, subito dopo l’estate. A dicembre-gennaio, come vorrebbero le minoranze e Nicola Zingaretti, per dare modo e tempo di celebrarlo in maniera inclusiva e meditata. Oppure dopo le Europee, soluzione che rischierebbe di essere politicamente suicida. Un Pd senza linea politica rischierebbe di scomparire alle prossime elezioni, qualsiasi esse siano.

Lo spettro della mancanza del numero legale in assemblea

Lo spettro della mancanza del numero legale in assemblea incombe sui Dem. In questi giorni sono partite centinaia di telefonate ai singoli delegati per scongiurarne il rischio. Ma i rischi sono alti. L’eventuale mancanze del numero legale non sarebbe una questione solo burocratica, ma politica. Significherebbe che parte del partito non ritiene più gli attuali eletti rappresentativi di nulla. In questo caso si aprirebbe immediatamente la fase congressuale ma in un clima di caos tale da rendere quasi impraticabile il campo.

La fine del renzismo?

C’è chi sostiene che, qualsiasi sarà l’esito, oggi si decreta la fine del renzismo. Effettivamente la dialettica interna ed esterna del Partito Democratico sembra essere finalmente libera dai colpi di coda dell’ex segretario. Un eventuale scontro congressuale tra Nicola Zingaretti e Carlo Calenda relegherebbe all’irrilevanza tutto il gruppone (sempre più esiguo) di fedelissimi renziani. Ma Matteo Renzi e i suoi non lasceranno facilmente il campo da gioco. E in ultimo, ma non ultimo, c’è la possibilità che l’ex premier fondi un suo partito nuovo, di stampo macroniano. In tanti la accoglierebbero come una manna dal cielo e la possibilità di ricostruire la sinistra senza altri ostacoli interni. Ma sono solo ipotesi.

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