CASERTA – “La repressione non basta”. Luigi Gaetti, sottosegretario all’Interno, lo sa bene: per sconfiggere le mafie servono regole forti, ma anche un nuovo impulso culturale. I cittadini devono tornare ad avere fiducia nelle istituzioni.
Le mafie riescono ad insinuarsi nelle amministrazioni comunali, negli ospedali. Commissariare le strutture ‘inquinate’ a volte non basta. Allontanare i politici collusi non è sufficiente. Spesso sono i dirigenti a rappresentare l’anello di collegamento tra le organizzazioni mafiose e la cosa pubblica. Ritiene necessario introdurre norme per rendere meno inamovibili funzionari e responsabili in odore di camorra? O quelle in vigore sono sufficienti, ma applicate nel modo sbagliato?
“Inizio con il dire che le nor
me hanno bisogno di aggiornamento: non sono del tutto sufficienti e a volte non garantiscono la massima efficienza. Spesso i mezzi messi a disposizione per il commissariamento sono insufficienti. Il commissario ha bisogno di una dotazione organica di fiducia e in determinate circostanze i tempi della sua permanenza presso un Ente non sono adeguati. Nel 99% dei casi i Comuni vengono sciolti per mafia quando la procura, a conclusione delle indagini, invia gli atti alla prefettura: si procede, quindi, dopo l’istruttoria e viene nominato una commissione prefettizia. Occorre modificare la norma: quella Commissione deve lavorare presso il Comune sciolto sette giorni su sette ed avere ampi poteri di amministrare, soprattutto in termini di assunzioni e di apparato burocratico. La popolazione non deve pensare che era meglio quando c’era il sindaco”.
E’ vicino ai testimoni di giustizia. E’ intervenuto pubblicamente per sostenerli, per garantire loro maggiore tutela. Ha preso a cuore la vicenda di Augusto Di Meo. Ha pure manifestato la necessità di introdurre nuove norme che regolino la gestione dei beni confiscati. C’è il rischio che chi si presenta come anti-mafia sociale si trasformi (forse si è già trasformato) in un cartello monopolistico, guidato ininterrottamente dalle stesse persone. Il Governo ha intenzione di intervenire per garantire pluralità e maggiore trasparenza in questo settore?
“Una nuova gestione delle protezioni dei testimoni di giustizia, più vicina a esigenze e difficoltà dei diretti interessati, con possibilità sempre più concrete di assegnare loro i beni confiscati alle mafie. Ci attiveremo, ad esempio, con un uso sociale degli immobili che permetterà agli Enti locali di avere la possibilità di adoperarli per varie categorie sociali, speriamo anche per i testimoni e collaboratori di giustizia. Stiamo ragionando in maniera ampia su vari aspetti che includeremo anche in altre norme successive. I beni sequestrati hanno un valore etico, ma anche economico importante. Nei decreti approvati un mese fa è stata riorganizzata l’Agenzia dei beni confiscati, divisa in quattro dipartimenti in modo da renderla più funzionale. Adesso nel decreto sicurezza abbiamo messo alcuni paletti importanti per l’organizzazione del lavoro interno, l’utilizzo dei beni soprattutto immobili per fini sociali (sistema turistico, agricolo, intese come localizzazione di società internazionali), in modo da consentire l’uso da parte dei Comune per risolvere le problematiche abitative territoriali. C’è, ad esempio, un articolo che prevede la possibilità di demolire, in ultima ratio, un bene quando non può essere usato in nessun modo”.
I familiari delle vittime di mafia recentemente hanno inviato una missiva al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e ai vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini. In quel documento sostengono che la norma che regola i vitalizi destinati ai congiunti di chi è stato assassinato dal clan sia eccessivamente rigida. E affermano che in alcuni casi il Dicastero abbia preso nei loro confronti decisioni non lineari…
“La normativa in materia è complessa, in particolare con la Legge del 20 ottobre 1990, n. 302 e in seguito con la Legge 7 luglio 2016, n 122 si è ristretto l’ambito applicativo della norma. Stiamo cercando di trovare una sintesi in modo tale da renderla più facilmente applicabile”.
Oggi imprenditori e commercianti, fortunatamente, denunciano il pizzo con più facilità. Percepiscono la vicinanza dello Stato. Non si sentono soli. E’ una vittoria. Prima a garantire alle cosche il cash-flow per ‘mantenere’ l’organizzazione erano le estorsioni. Oggi, invece, tocca alla droga. Non mi riferisco al traffico (attività storica delle mafie), ma alla ‘vendita al dettaglio’: dallo spaccio porta a porta all’istallazione di ‘piazze’ in posti dove, fino a qualche anno fa, sembrava impensabile assistere allo smercio di narcotici. Migliaia di minori nella provincia casertana e nel napoletano fanno uso di droghe pesanti. La repressione, a quanto pare, non basta.
“La repressione non basta e non sarà mai la scelta giusta, i minori, le
persone in generale hanno bisogno di una speranza per il futuro. Occorre che abbiano una visione per il proprio futuro. Serve una vera e propria educazione civica. Tutto questo purtroppo manca, manca in tanti posti del nostro Paese, dove i servizi sono ridotti ai minimi termini, dove il lavoro più facile da trovare spesso è lo spaccio o attività che non hanno nulla a vedere con il modello di Nazione che tutti noi abbiamo sognato”.
Come reagire?
“Bisogna intervenire nelle scuole, dove crescono i nostri ragazzi, dove passano la maggior parte del loro tempo. Bisogna intervenire nei territori abbandonati oramai da troppi anni, territori che sono diventati preda della camorra, dove non ci sono luoghi di aggregazione per i giovani. Serve dare una speranza reale ai nostri ragazzi, perché loro sono il nostro futuro”.
La ‘debolezza’ militare delle mafie locali sta aprendo le porte a quelle straniere. Non che la prima sia migliore dell’altra. Ma sembra che l’impegno dello Stato profuso per mettere in crisi le organizzazioni autoctone venga vanificato dall’arrivo di compagini malavitose estere. Faccio un esempio: il litorale domizio, per anni falcidiato dall’ala stragista dei Casalesi, oggi è territorio della mafia nigeriana. E non è un’organizzazione di serie ‘b’, anzi. Crede che il fenomeno sia connesso ai flussi migratori, finora poco controllati?
“Assolutamente no, credo che spesso sia solo manovalanza. Nel mondo dello spaccio attualmente la maggior parte degli stranieri coinvolti sono manovalanza al soldo della criminalità italiana. Naturalmente stanno imparando a fare il salto qualitativo diventando essi stessi organizzazione criminale. Solamente in determinati ambiti come la prostituzione nigeriana, la criminalità straniera ha assunto una sua autonomia. Poi ci sono altre criminalità che non fanno rumore, come la mafia cinese, che è riuscita a modificare l’economia investendo spesso su beni immobili riciclando così quantità industriali di moneta. A raccontare lo sbarco delle economie criminali forestiere è anche l’ultima relazione della Direzione nazionale Antimafia e Antiterrorismo, presentata dall’allora procuratore Franco Roberti”.
In quel documento si parla pure degli affari italiani delle cosche straniere.
“Già negli anni precedenti, per la verità, gli analisti della Dna avevano dedicato alcuni paragrafi delle relazioni alle piovre extra-italiane. Questa volta, però, le pagine utilizzate per raccontare gli affari delle mafie estere sono molto più numerose. Il motivo? Sono i numeri a rivelarlo: tra l’1 luglio del 2015 e il 30 giugno del 2016 sono stati 1.555 gli italiani accusati di associazione mafiosa, 570 gli stranieri ai quali è stato contestato lo stesso reato. Praticamente ogni quattro persone che le procure antimafia della Penisola hanno indagato per 416 bis, ce n’é almeno una non italiana. Una proporzione che cresce se si passano in rassegna le inchieste per traffico di stupefacenti: 16.170 gli italiani indagati contro 10.184 stranieri. Dati che confermano come le associazioni criminali straniere siano ormai la quarta mafia d’Italia”.
Dove non c’è mafia, purtroppo, c’è corruzione. Amministratori infedeli pronti, in cambio di denaro o altre utilità, a manipolare gare d’appalto e affidamenti. Ma mafia e corruzione sono connesse. La seconda è propedeutica alla prima. Un’amministrazione comunale già corrotta è più incline a stringere patti con il clan. Lo ‘spazza-corrotti’ voluto dal Governo sarà sufficiente?
“D’ora in poi chi sbaglia paga, è certo. Con questa legge dimostriamo che il governo vuole fare tesoro di quanto accaduto negli anni passati e varare una legge anticorruzione all’avanguardia, che ci mette come Paese leader in questo campo”.
Basta?
“Sinceramente non so se sarà sufficiente, ma è un primo passo verso un vero cambiamento. E’ la prima seria misura contro la corruzione che viene discussa in Italia dal dopoguerra ad oggi. Praticamente non lascia alcuno scampo a chi corrompe e a chi viene corrotto. Corrompere non conviene più. A nessuno e in nessun caso”.
Spesso commissariati di polizia e stazioni dei carabinieri sono costretti a fare delle scelte non semplici. Devono decidere se dedicarsi ad indagini più complesse, che coinvolgono un numero abbondante di uomini, o garantire un controllo del territorio costante, che pure richiede un sostanzioso impiego di risorse. Dover scegliere tra dare la caccia a chi ha commesso crimini e coprire fisicamente il territorio per prevenirli per un Paese civile è inaccettabile. C’è soluzione?
“Un miliardo di euro per dare il via a 10mila nuove assunzioni di giovani uomini e giovani donne nelle forze dell’ordine, sono i nuovi contenuti del Def Credo che sia la prima risposta concreta per un controllo maggiore sul territorio”.