Giustizia riparativa, via lunga ma possibile

Se a livello internazionale passi importanti sono stati fatti dal 1999 in poi prima con la Raccomandazione del Consiglio d’Europa, poi con la Risoluzione dell’Onu e poi ancora con la direttiva europea del 2012, anche in Italia qualcosa si è mosso

L'avvocato Raffaele Gaetano Crisileo

Domenica l’altra ero in Chiesa a Puglianello (in provincia di Benevento) ad ascoltare la Santa Messa in suffragio dell’amico sindaco scomparso Tonino Bartone quando, alla fine dell’Eucarestia, il neo parroco Padre Pino Di Santo annunciò che di lì a qualche giorno si sarebbe tenuto un incontro nella Diocesi di Sant’Agata dei Goti, organizzata dal Vescovo Don Mimmo Battaglia, tra la figlia di Aldo Moro, Agnese Moro, e la ex brigatista Adriana Faranda in tema di giustizia riparativa e di perdono. Di qui una mia serie di riflessioni e di considerazioni su un tema, come questo, che è sicuramente attuale e sentito, ma che non tutti sono pronti ad accogliere e ad accettare.

La domanda da porci

Ma la prima domanda da porci- per sgombrare il campo da dubbi e perplessità’ è questa: la “giustizia riparativa”, è possibile ? Ma cosa e’ ? Innanzitutto – dobbiamo dire – essa non è esplicitamente contemplata dall’attuale ordinamento penitenziario, quindi, diciamo, è una idea. Per questo motivo, secondo me, la strada per valorizzarla e per inserirla nell’ordinamento penitenziario è ancora lunga ma è percorribile. Se a livello internazionale passi importanti sono stati fatti dal 1999 in poi prima con la Raccomandazione del Consiglio d’Europa, poi con la Risoluzione dell’Onu e poi ancora con la direttiva europea del 2012, anche in Italia qualcosa si è mosso (e si deve ancora muovere) nell’ambito dell’esecuzione della pena dove – per quanto concerne questo aspetto – si e’ in via di sperimentazione.

Pensiamo agli incontri sulla mediazione condannati /vittima mediante uffici di mediazione dislocati qua e la’ sul territorio che stanno attuando progetti in tal senso. Mi viene in mente, ad esempio, il nostro “Progetto Sicomoro”, del Ministero della Giustizia ( il cui nome si ispira al passo del Vangelo in cui il buon Zaccheo si pente alla sola vista del Cristo). Parliamo di una iniziativa – quella della “giustizia riparativa” che vuole fornire un forte ed importante supporto ai detenuti delle carceri per favorirne il loro reinserimento sociale con la comprensione reciproca. In concreto, esso si sostanzia in incontri tra condannati e vittime ( dirette e non ) dove vengono discussi temi particolari come il perdono, il pentimento, la riparazione e la riconciliazione. Questi incontri danno la possibilità a vittime da un lato, e a condannati da un altro, di confrontarsi e a mettere in gioco le loro ferite per “ricostruire” relazioni tra vittime e colpevole.

La giustizia riparativa

In un quadro del genere la “giustizia riparativa” supera l’idea della sanzione come pena e mira a stabilire relazioni. Cosi – secondo me – si fa giustizia concreta, non bastano le sole pene ma occorre la convinzione di camminare insieme. E non possiamo citare il precursore di questo modello: Nelson Mandela che – eletto nel 1994 – per costruire un nuovo Stato istitui’ delle Commissioni di Riconciliazione per raccogliere le testimonianze delle vittime e degli autori dei crimini e concedere il perdono (cosa che fece attraverso l’amnistia). Ed allora per concludere io penso che da quell’incontro tra la figlia dello statista ucciso Aldo Moro, Agnese Moro, e la ex brigatista Adriana Faranda si puo’ trarre uno spunto di attenta riflessione per dire: è possibile anche da noi la “giustizia riparativa”. Facciamo tutti qualcosa per realizzarla.

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