REGGIO EMILIA – Un dibattimento durato due anni e mezzo. Aemilia è il processo più grande celebrato alla ‘ndrangheta. L’inchiesta sulla mafia calabrese infiltrata in Emilia Romagna si era diviso in due tronconi. Le posizioni di chi scelse il rito abbreviato sono state già valutate dalla cassazione. Oggi si è concluso il primo grado per gli imputati che preferirono il rito ordinario. Soltanto 19 le assoluzioni. Centoventicinque, invece, le condanne e quattro prescrizioni.
Il verdetto per Iaquinta
Tra i condannati ci sono Vincenzo Iaquinta, l’ex campione del mondo di calcio, accusato di armi, e il padre, Giuseppe, a giudizio per associazione mafiosa. Hanno incassato rispettivamente 2 e 19 anni di reclusione.
Al centro dell’inchiesta ci sono le presunte attività illecite della famiglia Aracri in Emilia Romagna. Il verdetto di primo grado ha tracciato l’attività della cosca Grande Aracri di Cutro, capace, con autonomia, di raggiungere il nord Italia.
Il tribunale di Reggio Emilia ha giudicato la mafia moderna: quella basata su una duplice abilità. Da un lato la forza militare tradizionale, che anche quando non si vede è in grado di farsi sentire, di intimidire, anche non manifestandosi platealmente. Dall’altro i colletti bianchi. L’ingegno di mettere in atto frodi e azioni di riciclaggio per pulire i proventi illeciti guadagnati col sangue e con il cemento.