Il 2018 è agli sgoccioli e, per quanto mi riguarda, quest’anno può essere registrato
come l’annus horribilis durante il quale la politica, intesa come l’arte della programmazione e del governo della Nazione, è stata definitivamente bandita dalle istituzioni democratiche e parlamentari. L’anno in cui, per capirci, sotto le mentite spoglie di una rivoluzione partita dal basso, ovvero dai ceti popolari angariati da una classe politica definita “corrotta
ed inetta”, si è realizzata la più bieca delle restaurazioni della storia del nostro Paese. Un
ritorno all’antico, ovvero all’uso della leva della spesa pubblica a debito crescente per
gratificare i clienti e le categorie di elettorato vicine ai partiti di governo. A tutto ciò si è
accompagnato lo scadimento degli ultimi residuati valoriali e dei saperi che avevano contraddistinto gli inizi dell’era repubblicana.
Capiamoci: nessuno si aspettava che tornassero in auge uomini del calibro di Luigi Sturzo,
Pietro Ingrao, Sandro Pertini, Giuseppe Saragat, Leo Valiani, Luigi Einaudi, Pietro Nenni,
Alcide De Gasperi, Enrico Berlinguer ed Aldo Moro ma neanche i più pessimisti tra quanti
hanno vissuto e conosciuto quelle storie personali e quell’era politico-parlamentare, avrebbero immaginato di finire nelle mani di così tanti dilettanti e sprovveduti. Di gente che vive e governa alla giornata, sulla base di un contratto eufemisticamente definito “programma di governo”, stipulato pochi giorni dopo una campagna elettorale nel corso della quale i sottoscrittori stessi del contratto si erano insolentiti ed offesi ad ogni piè sospinto.
In questo clima da basso impero, ove trionfano i voltagabbana, nel quale l’ignoranza diventa addirittura virtù e la novità degli uomini l’unico tratto distintivo della buona politica, non poteva certo mancare il trasformismo. Un antico male che, puntualmente, si è materializzato non appena la classe dirigente è scesa di livello e la “pratica politica” si è ridotta al ritorno dei vecchi andazzi e della più becera spartizione dei posti di governo e degli strapuntini di sottogoverno.
Veniamo al pratico: negli ultimi sette mesi le leggi approvate non hanno raggiunto il numero delle dita di una mano, le attività parlamentari si sono svolte al ritmo di una seduta a settimana, molto spesso per discutere di aria fritta. E tuttavia quando si dovevano valutare provvedimenti legislativi, come nel caso dell’ultima finanziaria, il governo si è riservato di cambiare il testo in corso d’opera, impedendo qualsiasi discussione parlamentare. Eppure chi ci governa, nella scorsa legislatura, aveva gridato allo scandalo quasi tutti i giorni, ogni qualvolta si riducevano gli spazi a disposizione dei parlamentari per poter intervenire in aula su provvedimenti legislativi. Abbiamo invece assistito ad una radicale inversione di mentalità e di comportamento da fare invidia anche a quell’Agostino De Pretis che pure il trasformismo politico parlamentare ebbe ad inventarlo! Tutto questo è possibile in Italia perché “gli italiani sono un popolo di contemporanei”, soleva dire Indro Montanelli, un popolo che non ha alcun interesse a conoscere la propria storia e ad essere coerente con essa. Un popolo che non ha né ascendenti né discendenti, abituato a soddisfare le esigenze della propria generazione accollandone il costo ai posteri. Un popolo pronto sì alla rivoluzione ma facendo le barricate con i mobili degli altri! Un popolo, insomma, pronto ad avvicinarsi alla greppia dell’assistenza statale e ad inventarsi
un’inclinazione rivoluzionaria ogni qualvolta l’assistenza e la beneficenza Statale si affievoliscono o si interrompono.
Ma non vale la critica solo per i politici (sic!!). In democrazia gli eletti ed i loro elettori si
somigliano. Quindi la critica politica di quest’anno può diventare critica sociologica e viceversa, con buona pace della grande bugia che ha trovato credito ed ha alimentato l’odio sociale in questi anni, ovvero che il popolo era candido e puro ed il ceto politico riprovevole e corrotto. Su queste false basi di giudizio si è alimentato il voto per il M5S, seppur camuffato dalle loquele moralistiche grilline. Il ceto politico e la maggioranza di governo, quindi, non possono che essere espressione di questa stessa diffusa mentalità utilitaristica camuffata dalla falsa aspettativa dell’Uomo politico nuovo e puro!!
La mitologia narra che gli uomini pur avendo avuto in dono da Prometeo il fuoco, non riuscivano comunque a difendersi dalle belve. Riuscirono a sopravvivere solo coloro i quali si diedero delle regole di comportamento, di condivisione di princìpii e di regole sociali che consentirono a persone diverse di vivere in pace tra loro. Era la “politica” intesa nel senso più pieno e nobile del termine.
Ebbene, se manca questa politica, se manca la cultura ed i valori di cui la politica si sostanzia, la società è in pericolo. E’ questa la triste morale nell’anno in cui tutto è cambiato, in peggio.