Tra la provocazione e il banco di prova. Luigi Di Maio ha invitato il neo-segretario del Pd a votare l’estensione del salario minimo a tutte le categorie di lavoratori. “La misura – ha dichiarato il vicepremier – fra pochi giorni arriva in Parlamento. Sul tema mi auguro di vedere un’ampia convergenza parlamentare, a partire proprio da Zingaretti”.
Prove d’intesa
Una sorta di petting elettorale, una mossa che va oltre l’attuale alleanza con i leghista che sta trascinando nel baratro dei consensi il Movimento 5 Stelle.
Zingaretti non ha fatto cadere nel vuoto l’invito del ministro. Ha risposto e lo ha fatto dimostrando di aver capito il messaggio sotteso: “I processi politici non si fanno con le furbizie”.
Formalismi a parte, gli esponenti democrat sono ‘possibilisti’ sul voto alla proposta dei 5 Stelle. A parlarne apertamente è stata Debora Serracchiani.
Democrat possibilisti
“E’ una misura che verrebbe incontro ai circa due milioni di lavoratori che in Italia non hanno un contratto collettivo di riferimento e agli oltre 2,5 milioni che possono essere considerati lavoratori poveri proprio per gli stipendi. Stiamo parlando di lavoratori poveri – ha spiegato la deputata – che anche il reddito di cittadinanza escluderebbe da qualsiasi tipo di aiuto pubblico e che ricevono salari al di sotto dei minimi stabiliti dalla contrattazione. Se quella del M5s è una iniziativa legislativa seria e non la solita campagna propagandistica, troverà sempre pronto il Pd nella difesa degli interessi delle categorie più deboli”.
Diverse le affinità tra i 5 Stelle, soprattutto quelli dell’area fichiana, e il nuovo Pd. E se Zingaretti nei prossimi giorni non farà nulla per nasconderle, anzi, probabilmente le evidenzierà, il suo inizio da segretario è stata teso a rimarcare una differenza sostanziale con il Movimento. Quale? Il sì alla Tav. E’ andato in Piemonte a parlare con Chiamparino, presidente della Regione Piemonte, per confermare il suo sostegno al progetto Torino-Lione.