Ora che i microfoni e le telecamere sui risultati elettorali si sono spenti, credo sia venuto il momento di dire la verità. Al Sud, e ancora di più in Campania, ha vinto, alla grande, solo l’astensione. Il partito di quelli che non credono in questa politica fatta di selfie sorridenti, di promesse non mantenute, di inganni consumati alle spalle sopratutto di quelli che sono indietro. Stavolta mi pare difficile raccontare, come fanno regolarmente le solite anime belle nei loro salotti eleganti, che il voto è un diritto, ma anche un dovere. E che chi non vota lascia la scelta agli altri. Sarà pure vero, ma vaglielo a spiegare alla signora Maria a cui hanno tolto l’assistenza, negato il lavoro al figlio, fatti scomparire gli autobus, avvelenata l’aria, chiusi gli ospedali e infine tagliata la pensione. Se quando hai bisogno lo Stato non lo trovi mai, inevitabilmente cominci a pensare che forse non c’è. O che non si può ricordare di te solo nelle settimane precedenti al voto. O chiedertelo con le stesse facce da trent’anni o addirittura senza più nemmeno una faccia, ma solo con una maschera, giovane e sorridente, perché tanto “uno vale uno”. Forse paradossalmente è quest’ultimo dato quello più triste. La martellante propaganda dei 5 Stelle tesa solo a ricordare il fallimento, innanzitutto morale, della politica “tradizionale” aveva innescato, ancora di più dello stesso reddito di cittadinanza, un voto alle elezioni politiche dello scorso anno che, anche dal punto di vista della partecipazione, si é espresso nel senso di testimoniare una straordinaria voglia di discontinuità rispetto al passato. Un solo anno è bastato, oltre che a ridurre di oltre un terzo quei consensi, anche ad allontanare dalle urne più del 50% degli elettori (a Napoli quasi il 60%). E questo perché tanti hanno constatato che la rabbia può spazzare il “vecchio” (e questo non può essere un male), ma se il “nuovo” non ha niente da dire, le cose continuano a peggiorare. Insomma, se in tanti non sono andati a votare, dei buoni motivi li hanno avuti. Partiamo da questo. E cerchiamo di capire che cosa si deve fare per dare di nuovo ai tanti che hanno perso la fiducia una ragione per andare a riempire la scheda elettorale. Non ci sono segreti. Per tornare a credere nella politica ci vuole la speranza che, attraverso la sua azione, la vita delle persone possa cambiare e farlo in meglio. E questo vuol dire prima di tutto avere idee e proposte. Non i soliti bla bla sui massimi sistemi, conditi magari da frasi fatte che elencano quello che non va, come capita spesso nei talk show o leggendo le interviste. Ci vuole la conoscenza delle questioni che interessano davvero la vita delle persone, quelle in carne ed ossa. Ciò vuol dire prima di tutto avere idee e proposte. Ci vuole capacità di interpretazione e visione. E questo impone di stare tra la gente, ma non basta. E’ necessario studiare i problemi e le loro radici. Scommettere, sfidare e metterci la faccia. Confrontarsi sulle questioni che oggi rendono questa regione un posto difficile. Mettere sul tappeto, con serietà, le 4 o 5 questioni che fanno la differenza tra questo immobilismo e la speranza di avere qui un futuro, senza dover pensare di andar via o rassegnarsi alla precarietà e al degrado. La Campania ha bisogno prima di tutto di un grande piano di rigenerazione urbana. L’edilizia è il motore dell’economia. E allora mettiamoci mano. Non si tratta di aumentare le cubature, ma di ristrutturare, modernizzare, efficientare gli spazi. Eliminare la selva delle assurde regole burocratiche che ingessano inutilmente tutto (e che non hanno certo impedito 80.000 alloggi abusivi) e riqualificare le case, con finanziamenti pubblici ai privati. Puntiamo sulla logistica, sui trasporti e il turismo. Con centinaia di straordinarie località turistiche e culturali, in grado di reggere il pil di un Paese, non solo di una regione, è inconcepibile che manchino strade adeguate, treni, aliscafi. È inaccettabile che, per esempio, a Pompei non ci sia offerta alberghiera: milioni di turisti ogni anno arrivano la mattina e poi vanno via perché non possono dormire da nessuna parte. Un’altra cosa. La Campania è ultima anche nella classifica della spesa per le politiche sociali. Se non ci sono asili nido, se non ci sono alloggi disponibili per chi resta per strada, se tua nonna col femore rotto non riceve alcuna assistenza, è chiaro che inizi a pensare che da noi lo Stato non esiste. Ecco perché bisogna investire sul welfare, togliendo le risorse al sistema della cooperazione alla “mafia capitale” che drena tutto quello che arriva, e mettendolo a disposizione dei cittadini per quello che serve loro davvero. E, poi, nella terra delle tante mamme che vedono i loro figli marcire in casa senza un lavoro, o vivere scambiando un pasto con la dignità, se si vuole dare un senso e una credibilità all’azione politica bisogna investire sulla formazione professionale. Quella vera, quella che incrocia domanda e offerta di lavoro. Quella che ti prende al tempo della scuola e ti porta verso un lavoro dignitoso e stabile. Quella che ti insegna un lavoro, ma lo fa garantendoti un contratto di apprendistato, non una “mazzetta” il sabato.
Insomma, ci vuole un progetto complessivo di governo, capace di incarnare la speranza ancor prima di darla, con responsabilità e serietà, per valorizzare le potenzialità del nostro posto e renderci ancor più orgogliosi di appartenere a una terra straordinaria. Scommettiamo che così la gente tornerà a crederci?