Con l’acuta intelligenza e l’ironia che si ritrova, Giuliano Ferrara, fondatore ed ex direttore del Foglio, ha auspicato la formazione di un governo monocolore del M5S guidato da Giuseppe Conte e sostenuto, all’esterno, dal Pd. Un governo che sia espressione della volontà popolare (5S e Pd rappresentano circa la metà dei voti espressi) e che possa utilizzare anche talune figure di spicco provenienti da quella mitica e spesso renitente “società civile”.
Si tratterebbe di chiamare alla stanga i rivoluzionari di ogni estrazione, finanche Marco Travaglio, Gianluigi Paragone, Piercamillo Davigo, Gustavo Zagrebelsky, Massimo Cacciari, alla guida di un dicastero. Insomma: mettere alla prova i fustigatori dei costumi e dei governi che si sono succeduti nell’ultimo decennio. Si compirebbe così la parabola politica dei “Sanculotti” nostrani. E fa niente se i grillini sono gli stessi che per primi hanno predicato sull’inutilità della cultura e dell’esperienza politica pregressa bastando solamente il buon senso e l’onesta d’intenti per governare la Nazione. Non sono stati i seguaci di Grillo, d’altronde, una volta giunti al governo, a rimangiarsi tutti gli indefettibili principii a cui si erano ispirati in passato manifestando una predilezione per quelle poltrone e quegli agi tanto deprecati in passato?
Sul versante del Pd, invece, l’appoggio al governo monocolore concilierebbe le posizioni interne tra Renzi e Zingaretti scongiurando, almeno nell’immediato, la ventilata nascita del partito dell’ex rottamatore. Il tutto in nome della solidarietà nazionale necessaria per sbarrare la strada alle truppe del truce Salvini.
Una maggioranza simile sarebbe la riedizione di quello che in passato fu chiamato governo di solidarietà nazionale, per far fronte all’eversione assassina dei brigatisti rossi. Un remake politico, insomma, nel quale anche i tartufi vetero comunisti della sinistra antagonista potrebbero trovare il loro spazio.
Diciamocela tutta: il vero problema oggi non è tanto la legge sul taglio dei parlamentari, evocata da Di Maio e rilanciata, in extremis, da Salvini, quanto ritrovare un sistema elettorale che ridia realmente al popolo la possibilità di scegliersi un premier, una maggioranza ed un programma prima del voto evitando, così, improvvisati “contratti di governo” post scrutinio, con la creazione di maggioranze pastrocchio, frutto di compromessi tra forze politiche che magari in campagna elettorale se le erano suonate di santa ragione.
Finora questi ragionamenti sono rimasti fuori sia dai commenti dei media sia dalle aule parlamentari. Eppure quello della legge elettorale e della riforma della Costituzione per scegliere procedure parlamentari di formazione del governo più rapide e dirette, sono direttamente collegate tra loro.
A Salvini s’imputa la volontà populistica di cercare scorciatoie e di far saltare il chiavistello delle garanzie costituzionali con i suoi metodi potenzialmente eversivi. A ben vedere il pericolo e l’urgenza non consistono tanto nel dovere arginare i modi forse un po’ troppo “sbrigativi” del capo della Lega, quanto il dover decidere un nuovo assetto costituzionale della forma di governo e delle procedure per arrivarci.
Chiunque vi abbia provato, in tal senso, è stato bocciato dagli elettori ai referendum confermativi, trasformati, dalle opposizioni, in quesiti pro o contro il governo in carica. In questo clima da caravanserraglio chiunque abbia provato ad agitarsi ed a proporre tesi in grado di accorciare la lentezza delle procedure e magari riportare la gente a votare per esprimersi nuovamente, è diventato una specie di Primo Arcovazzi, il famoso personaggio interpretato da Ugo Tognazzi nel film “il Federale”. Una caricatura, cioè, di quello che veramente fu la dittatura fascista: un ironica commedia delle parti nella quale gli antifascisti di comodo fanno più ridere dei presunti fascisti. Ora, se non si scioglie questo nodo gordiano, in parte affrontato e risolto ai tempi del referendario Mariotto Segni, non si andrà da nessuna parte e si continuerà ad annaspare da un “governicchio” ad un altro.
Ricorre oggi l’anniversario della morte del più grande statista della Repubblica italiana: Alcide De Gasperi. Fu l’uomo della rinascita di una Nazione distrutta dalla guerra. Se il Pd ed il M5S continueranno a fare confusione mestando nel torbido, senza una reale soluzione alla governabilità, Salvini sarà trasformato in un moderno De Gasperi che stravincerà le prossime elezioni proprio come fece il grande leader democristiano nel 1948.