Nessuno avrebbe mai pensato che dall’esito delle recenti elezioni regionali potesse uscire un quadro politico a tinte così fosche. Tutti, commentatori, giornalisti, politologi ed osservatori imparziali, avevano dato per certo che in un senso o nell’altro, il voto avrebbe chiarito le cose, determinando, in prospettiva, la durata del governo. Il punto nodale sarebbe stato l’esito del voto in Emilia Romagna, dove Matteo Salvini aveva lanciato il guanto di sfida, sottoforma di ordinanza di sfratto, a Giuseppe Conte ed al governo giallorosso. L’avventatezza e la tracotanza del leader del Carroccio, condannato ad una politica urlata, sopra le righe e spesso fuori dal buon senso (per esigenze populiste), ha compattato l’elettorato di sinistra che, per il tramite delle adunate delle Sardine, è accorso in massa alle urne per fare fronte unico contro il “truce leghista”.
Alla fine, abbiamo visto com’è andata: un esempio classico di scuola di come si possa rivitalizzare l’avversario messo alle corde trasformando in sconfitta un largo, clamoroso consenso elettorale del quale il fu Popolo delle Libertà è stato comunque depositario. Tuttavia il ko di Salvini non ha dato certezze al governo per l’emorragia elettorale del M5S il quale ha visto ridursi i propri elettori al minimo storico. Insomma, respira e si ringalluzzisce il Pd dell’esangue Zingaretti e sprofonda il Movimento. Una situazione paradossale che accresce gli interrogativi sulla reale compattezza dell’esecutivo e la coesistenza tra due partiti dei quali il più numeroso come rappresentanza parlamentare, viene ridotto ai minimi termini nel Paese. E stiamo parlando del primo partito della coalizione di governo. Una coalizione messa in piedi attraverso alchimie politiche e pubbliche contraddizioni. Mi sorprende che milioni di saccenti e di maestri di tastiera abbiano taciuto sulla circostanza che l’esecutivo Conte abbia totalmente perso la fiducia degli elettori! Me c’è dell’altro. Ed è bene ribadirlo.
In questa delicata fase della nostra storia politica, le aule parlamentari ospitano onorevoli inoperosi, che non dissertano e si accalorano intorno a proposte di legge ma cincischiano con ordini del giorno, mozioni e ratifiche di trattati internazionali. Ma questi parlamentari non erano alle dipendenze di cittadini esagitati e quindi in dovere di dar loro conto del proprio operato, dei propri stipendi e dei propri privilegi di casta?
È proprio vero che nel Belpaese ogni ingiustizia ci offende solo quando non procura un personale giovamento! Viviamo in un clima soporifero quanto precario che consente al governo solo “navigazioni a vista” e viene da chiedersi perché mai questo stato di cose si trascini da anni nonostante risultati elettorali ormai imprevedibili e mutevoli in grado di eccitare cambiamenti di ogni specie!
La ragione è nota a molti ma sgradita ai tanti protagonisti della vita politica e parlamentare di ieri e di oggi. Si chiama revisione costituzionale, riforma della natura e delle funzioni dei partiti politici, unico mezzo di congiunzione tra Stato e cittadini. Perché ci si illude ancora che si possa riformare lo Stato, le sue istituzioni, senza riformare la politica? Perché si è volutamente ciechi innanzi a terremoti elettorali che non smuovono di una virgola gli assetti politici e rendono effimero ogni sostanziale e duraturo cambiamento? Perché la politica pur invocando, per bocca dei suoi interpreti, un perpetuo rinnovamento, non trova equilibri stabili, coerenti e prospettive sicure e durevoli di governo, se non perché sono scomparsi i tradizionali partiti, le idee e le visioni sociali che li caratterizzavano? Logorata anche la partitocrazia dei partiti personali e di plastica, cosa resterà in futuro di veramente nuovo e più confacente alle mutevoli esigenze sociali? Assolutamente nulla!! Unica e vecchia via, già imboccata dopo il disastro della seconda guerra mondiale per risollevare il Paese e cambiare le regole del gioco, resta l’elezione di un’Assemblea Costituente per mettere mano all’aggiornamento ed alla riforma costituzionale.
Tra tutte le questioni quella più impellente è la riforma della natura dei partiti politici Italiani. Senza un nuovo strumento non si potrà costruire un nuovo modo di fare politica e di selezionare l’adeguata classe dirigente. Si impone, insomma, una trasformazione dei partiti da semplici associazioni private in enti di diritto pubblico controllati da un autority indipendente e garante di alcune prerogative, per lo più organizzative. Un controllo sulla veridicità delle adesioni, sul rispetto delle scadenze, previste nello statuto, la celebrazione dei congressuali con sistema di votazione democratica, bilanci sotto il controllo dei revisori contabili della Corte dei Conti. Insomma, finanziare la politica come serve, finanziare anche un adeguata funzione di formazione culturale, di informazione dei militanti e degli elettori. Senza di questo la politica ed i governi non avranno nuova luce, senza la nuova alba capace di illuminare la notte della Repubblica. In caso contrario, sarà sempre notte in Italia e continueremo a vivere un tempo sbandato chiedendo al futuro che corre a darci fiato.