LONDRA – Regno Unito e Unione europea fanno le prime mosse nella nuova fase della complicata partita della Brexit. Dopo che il divorzio è diventato effettivo il 31 gennaio, le due parti tornano a studiarsi e lanciarsi messaggi in vista dei negoziati sul loro futuro accordo commerciale. Da subito, nel botta e risposta, sono concordi su un punto: sia Londra, sia Bruxelles, sono pronte ad abbandonare il tavolo dei colloqui senz’accordo, pur di non scendere a compromessi sui punti chiave. Il premier britannico Boris Johnson ha mostrato di voler puntare i piedi in un discorso pronunciato davanti a imprenditori e diplomatici internazionali a Londra: “Vogliamo un accordo di libero scambio”, ma non a qualsiasi costo. “Non vedo il bisogno – ha detto – di vincolarci a un accordo con l’Ue”, e la scelta non è fra “accordo o no deal”: “il punto è se concordiamo su una relazione commerciale con l’Ue paragonabile a quella del Canada – o più a quella dell’Australia”. Quest’ultima implicherebbe una gamma di nuovi dazi e altre barriere.
La decisione
Chiaro e diretto anche il messaggio del capo negoziatore dell’Ue, Michel Barnier: i 27 non accetteranno un accordo qualsiasi, solo per evitare un no deal caotico e costoso alla fine del 2020. Inoltre, ha detto, l’Ue vincolerà l’accesso al suo mercato all’apertura delle acque di Londra ai pescherecci europei. “Siamo a favore del libero scambio, ma non saremo ingenui”, ha affermato Barnier, “se la richiesta è avere ampio accesso a un mercato di 450 milioni di consumatori europei, zero dazi, zero quote, ciò non accadrà in cambio di nulla, o senza condizioni”. Anzi per il capo negoziatore dell’Unione Europea “l’accordo sulla pesca sarà inestricabilmente legato all’accordo commerciale”. E l’Ue, ha sancito Barnier, continuerà a prepararsi per un no deal: “Se non ce la faremo entro la fine dell’anno, ci sarà un ampio dirupo”.
La trattativa
Nell’intesa sul divorzio, Londra e Bruxelles puntano a una “partnership ambiziosa, ampia, profonda e flessibile”. Negli 11 mesi di transizione, di fatto le relazioni resteranno pressoché inalterate (e Londra continuerà a seguire le regole dell’Ue, senza però aver voce nei processi decisionali). E Londra, che vuole un accordo in “stile Canada” (l’accordo Ue-Canada è stato negoziato per 7 anni), ha chiarito di non voler continuare a seguirle in cambio di apertura sul commercio, perché vuole esser libera di siglare intese altrove. Ma l’Unione europea insiste su “parità di condizioni” e che le regole europee non siano violate, soprattutto su diritti dei lavoratori, ambiente, salute e sicurezza.
Ma Johnson sottolinea che “non c’è bisogno che un accordo preveda di accettare le regole europee”, “manterremo i più alti standard, a volte migliori di quelli dell’Ue, senza la costrizione di un trattato”. L’Ue non sembra intenzionata a farsi impressionare, mentre i negoziati effettivi non si apriranno sino a marzo, dopo l’approvazione dei 27. Lo spettro no deal, quindi, è ancora lì: il rischio a fine 2020 è che, se non ci sarà accordo o proroga, avvenga la drastica rottura, con dazi e altri ostacoli commerciali. Uno scenario che, sin dall’inizio, allarma le imprese di molti settori.
LaPresse