Conte punta sul recovery fund, ma non chiude al Mes. Per il dl aprile pronti 50 miliardi

ROMA – Il problema è sempre lo stesso: il Mes. I Cinquestelle non lo vogliono, il Pd spinge per non far sfumare 37 miliardi, Lega e Fratelli d’Italia affondano colpi su colpi al governo. Nel bel mezzo di questo fuoco di fila si trova il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che prova a tenere in equilibrio la sua maggioranza e i rapporti con i partner europei. Il 23 aprile è arrivato e anche se convinto che il Consiglio Ue “non sarà risolutivo”, il capo dell’esecutivo è assolutamente consapevole che l’Italia si gioca un pezzo consistente di futuro in questa partita.

La convivenza in coalizione non è facile, soprattutto in tempi di crisi e recessione per colpa del coronavirus, così alle Camere prova a non infiocchettare verità di comodo: “Rifiutare la nuova linea di credito sarebbe un torto a quei Paesi che vorrebbero usufruirne, come la Spagna”. Nell’ammissione del premier c’è anche la sua più grande preoccupazione. Perché sa benissimo che in sede Ue la discussione sul Meccanismo europeo di stabilità, è inevitabile. Così come la possibilità che la proposta passi a maggioranza, e quel punto se la dovrebbe vedere con le forze politiche italiane, con un voto in Parlamento, visto che ha assicurato che l’ultima parola spetterà alle Camere. Dove, come sottolineato dalla leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, il no è assolutamente scontato.

È questione di numeri, visto che il M5S ha ribadito di non voler far passare il Mes, e la Lega ci ha costruito un pezzo di storytelling politica degli ultimi mesi. A favore si esprimerebbero solo Pd, Italia viva e forse FI, anche se Silvio Berlusconi auspica un’intesa sui recovery fund, l’asso nella manica studiato da Emmanuel Macron per tirare dentro anche l’Italia nel braccio di ferro con l’asse nord dell’Europa.

La proposta francese piace al governo, Conte lo dice apertamente in Senato e alla Camera: “E’ un pezzo fondamentale della nostra azione europea” per “finanziare progetti comuni di interesse, per avviare un piano di ricostruzione fondato sugli investimenti, l’innovazione, la sostenibilità ambientale, la tutela della salute e dell’ambiente”. Il capo del governo, però, si tiene aperta anche la ‘via spagnola’, seppur “con qualche suggerimento di variazione”. Il suo impegno è di non accettare un “compromesso al ribasso” in Europa, perché stavolta “non siamo difronte a un negoziato a somma zero”.

Conte non può permettersi di farsi mettere nell’angolo in Ue, ingoiando soluzioni che non sarebbero mai accettate in Italia. Altrimenti per lui, sarebbe la fine della corsa. Peraltro nel momento in cui ballano sul piatto 75 miliardi di euro che il suo esecutivo ha deciso di iniettare nel sistema economico nazionale. La prossima richiesta di scostamento dagli obiettivi di bilancio “non sarà inferiore ai 50 miliardi”, annuncia infatti alle Camere, giocandosi il jolly in un frangente storico difficile, con il Paese ancora in lockdown, le piccole imprese in difficoltà, i commercianti senza prospettive, gli autonomi furiosi per i ritardi nell’erogazione dei bonus da 600 euro e la cassa integrazione in deroga che stenta a decollare.

A proposito, sul tema il premier non lesina una stoccatina “col rispetto dovuto” alle Regioni ‘ritardatarie’: “Sollecito chi non lo ha ancora fatto a far pervenire i flussi quanto prima, altrimenti non saranno possibili le erogazioni”. Ma, dopo il ‘bastone’ dei giorni scorsi, c’è anche la carota per le opposizioni. Con tanto di rassicurazione che le loro proposte saranno ascoltate nel decreto di aprile. Il centrodestra, però, ci crede poco e non apre spiragli. Un tentativo, comunque, andava fatto: in tempi di ‘guerra’, meglio non farsi troppi nemici. (LaPresse)

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