NAPOLI (Raffaele Carotenuto*) – A ormai un anno dalla elezione del Sindaco di Napoli, una prima linea di sostanziale giudizio può e deve essere data. L’amministrazione comunale partenopea (anche metropolitana) risente dell’assenza non solo di un’idea di città, che alzerebbe sicuramente il livello delle scelte, almeno quelle ritenute fondamentali e strategiche, ma finanche del cosiddetto “ordinario”, anch’esso intrappolato negli evidenti limiti preesistenti. In dodici mesi non è individuabile un connotato che abbia “staccato” quella continuità che protrae il sacrificio del territorio come non luogo avanzato di crescita sociale. Dato indicativo che, purtroppo, vale anche e soprattutto per la qualità delle decisioni degli attuali assessori, anch’essi intenti a perpetuare prassi ininfluenti ai fini della creazione di un “coraggio politico”, e in qualche caso addirittura non ancora pervenuti. Nonostante sia certa e riconoscibile la competenza per titoli e professionalità di molti di essi, continua a non emergere la capacità del saper essere sul campo, della forza decisionale per incidere.
Se questo dis-equilibrio si aggrava anche per l’originaria scelta di un modello cooptativo (il Sindaco di Napoli è stato deciso a Roma?), non corroborato da un sano localismo culturale e politico, allora la distanza con la città da elemento fisiologico diventa patologico.
Insomma, la mancanza di quell’idem sentire tra cittadini ed eletti, necessario al processo di governance, quel vincolo affettivo tra questi, vitale per una città multiforme che tenta di non guardare più di tanto ai processi istituzionali locali, non aiuta quella dinamica di reciproco riconoscimento tra rappresentati e rappresentanti. Alla città di Napoli non fanno bene, in generale, le deleghe in bianco, non basta eleggere consiglieri per poi non calarli nelle scelte collettive e per la generalità degli interessi, altrimenti prende piede quel modello di rappresentanza che si usa dire corporativo, che tenderebbe a riprodurre pochi e settoriali interessi, se non a generare vere e proprie pratiche clientelari.
I corpi intermedi non devono rimpiazzare ciò che da questo punto di vista manca, ma partecipare a condizionare l’agire pubblico, non debbono farsi cooptare, ma contribuire a selezionare scelte per migliorare l’ordinario e aiutare ad affrontare i limiti strutturali della città. Con la collaborazione e non con la sostituzione paradossalmente si potrebbe far rinsavire la politica e con essa ogni punto di rappresentanza, i partiti, le territorialità, l’eletto stesso, a cui non far più bastare il solo sentirsi tale, ma orientarne la fattività del dovere civico, di quel fare insieme che rafforza i legami comunitari, che guarda al benessere collettivo.
La condizione in cui versa questa città, il torpore intellettuale, il non “mescolarsi” tra le classi, il non riconoscersi a vicenda, alza la barriera della incomunicabilità, ne limita fortemente le potenzialità e strozza quel regolare processo di avanzamento civico e civile, necessaria condizione di crescita sociale.
A Napoli la politica ha lasciato il “campo” per sua incapacità, per la totale assenza di selezione di una classe dirigente; oggi quel campo è dominato da rappresentanti della società alta, dai ranghi universitari (Sindaco e Giunta), che mal conciliano le scelte amministrative con la partecipazione e le sensibilità di vita dei soggetti sui quali quelle opzioni ricadono. Danno per scontato che siano le uniche e le migliori, senza lettura alcuna dei bisogni certificati dai cittadini. Un errore di presunzione che si sostituisce a quella non-politica che si è dileguata, lasciando il vuoto.
Il campo universitario traspostosi in politica, per dirla con il sociologo francese Pierre Bourdieu, non farà altro che sostituire la posizione dominante, dalla politica all’università, ma in assenza di lotta e di conflitto sociale, fondamentali nell’analisi marxista alla quale Bourdieu si ispira.
L’esercizio del potere passa di mano senza riconoscere le contraddizioni esistenti, ovvero omette di farsi penetrare da quel capitale sociale, pur ricco e variegato, capace di mettere insieme formale ed informale, alto e basso, centro e periferia.
Per finire con un ultimo pensiero, se il Sindaco e la Giunta stanno operando per riprodurre sé stessi, interpretando i mandati alla stregua di un agente sociale in posizione di comando, bypassando il confronto e il punto di vista dei cittadini, allora è inutile perpetuare un modello che non gioverà a nessuno, tranne, appunto, alla propria egemonia culturale e politica. Napoli ha mille anime dalle infinite sfumature e controversie, ma su tutte ha un cuore, è una città di cuore e come tale va trattata. A chi possiede gli strumenti per soddisfare le sue pulsazioni spetta il compito di farlo innamorare. L’esecutivo cittadino si “contamini” con la città, accetti il suo meticciato sociale e la attraversi da capo a fondo.
*Scrittore e meridionalista