CASAL DI PRINCIPE – Spavalderia, barbarie, sangue e omertà: ingredienti orrendi che trovano tutti spazio nella storia di Carlo Amato, la storia di un omicidio che non ha ancora un colpevole, una tragedia che chiede giustizia da 22 anni. Ed ora, anche se fuori tempo massimo, un passo verso la verità su quel delitto (finalmente) è stato fatto. Come? Mettendo nero su bianco i nomi di chi avrebbe assassinato Michele Della Gatta, 23enne di Casal di Principe e guardaspalle dei figli del capoclan Francesco Sandokan. Ad ordinare di ucciderlo, sostiene l’Antimafia, furono i boss Antonio Iovine ‘o ninno, sanciprianese, dal 2014 collaboratore di giustizia, e Michele Zagaria capastorta, ergastolano di Casapesenna. I panni del killer, invece, secondo la Dda, vennero indossati da Vincenzo Schiavone ‘o petillo, 43enne di Casale. Ai tre, assistiti dai legali Giuseppe Tessitore, Paolo Di Furia ed Emilio Martino, la Dda ha notificato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari. Se il gotha del clan decise di eliminare Della Gatta, ha ricostruito la Procura, fu per assicurare l’incolumità dei figli di Schiavone, sospettati di essere coinvolti nell’assassinio di Carlo Amato.
Sangue in discoteca
Era il 19 marzo 1999: gli studenti del liceo Amaldi di S. Maria Capua Vetere facevano festa, erano alle prese con il loro Mak P organizzato al ‘Disco Club’. Ma una lite tra due comitive lo trasformò in tragedia. Carlo venne ucciso con una coltellata in uno stanzino della discoteca. In quel locale c’era anche Walter Schiavone, figlio di Sandokan. Poco dopo la zuffa e l’orrore, nella città del Foro arrivò pure Nicola Schiavone, primogenito del boss. Raggiunse il ‘Disco Club’, individuò il fratello e lo portò via.
Chi uccise Carlo non ha ancora un volto, ma in 22 anni il vociare che tira in ballo proprio gli Schiavone in quella tragedia è stata una costante.
Sangue a Baia Verde
Pochi giorni dopo l’omicidio in discoteca, iniziò a circolare l’ipotesi che Della Gatta, che aveva il compito di garantire la sicurezza dei figli di Sandokan, avesse avuto un ruolo nell’uccisione di Amato. E il 5 giugno dello stesso anno anche lui venne ammazzato. Il suo corpo fu trovato in una stradina a Baia Verde, località di Castelvolturo, a circa cento metri da una macchina dove i sicari abbandonarono una pistola calibro 7,65 e una tanica di benzina.
Della Gatta, secondo la Dda, è stato assassinato per proteggere i figli di Sandokan, per dare il volto al killer di Carlo, per compiere quella (falsa) giustizia mafiosa che non passa per i tribunali.
L’appello di Rosa Amato
Dire chi uccise Della Gatta non appagherà la famiglia di Carlo. Ma traccia una linea. Ufficializza una connessione tra le due morti, come in questi anni ha sempre sostenuto Rosa Amato. E proprio lei, sorella di Carlo, ex mafiosa e già collaboratrice di giustizia, nel 2018 ha cercato di far riaccendere i riflettori sul delitto al ‘Disco Club’. Pochi giorni dopo aver saputo del pentimento di Nicola Schiavone, la donna rilasciò un’intervista ad una tv locale invitando il primogenito di Sandokan a riferire ai magistrati ciò che era realmente accaduto quella maledetta sera del 19 marzo 1999. Una sera che strappò la vita a Carlo, che tre mesi dopo causò la scomparsa di Michele e che diede il via alla creazione della cosca degli Amato, l’ennesimo gruppo mafioso che ha tolto ossigeno a Terra di Lavoro. Il padre di Carlo, Salvatore, fondò un sua compagine malavitosa con l’obiettivo di vendicarsi, di colpire il clan dei Casalesi ritenendolo responsabile dell’uccisione del figlio. Ma col trascorrere degli anni la voglia di vendetta scemò, rimasero i business illeciti. Di duraturo in questo mondo, soprattutto in quello criminale, c’è poco. E anche quegli affari sporchi messi in piedi dalla gang Amato, grazie alle denunce, agli arresti e alle collaborazioni con la giustizia, finirono. Di quella maledetta sera del 19 marzo 1999 resta il sangue versato. E il desiderio di giustizia.