Al progressivo allontanamento dell’Italia (Nord) dall’Europa, corrisponde il distacco del Sud da una “stanca” locomotiva settentrionale.
L’impietosa fotografia dello Svimez nelle anticipazioni sullo stato dell’economia e la società del Mezzogiorno dimostra esattamente questo. L’Italia arretra dall’Europa e il divario tra Nord e Sud del paese aumenta anche nella ripartenza del dopo-Covid, a discapito del Mezzogiorno.
Il filo conduttore tra i ritardi cronici del Meridione e la crisi provocata dalla pandemia (2020) è da leggere soprattutto nell’assottigliamento dei diritti di cittadinanza. Il divario con il Nord si è acuito nei settori della sanità e dell’istruzione, nei livelli di reddito e di occupazione. Portando il Sud a “vivere” una profonda crisi sociale ed economica.
Lasciare indietro una parte del paese sul terreno dei diritti significa non rispettare la Costituzione, la parità territoriale non è un elemento astratto, ma si conquista esclusivamente con l’allargamento dei diritti sociali. Ciò che esattamente non sta avvenendo.
Anche se ritorna di struggente attualità la “questione meridionale”, sia pure con modalità diverse, il dibattito pubblico non alimenta più la politica in tal senso, rimuovendo la stessa anche dall’orizzonte collettivo. Insomma, la politica non è più in grado di saper dare risposte al quesito, ad una domanda sostanziale, quantitativa e pregnante, dove in discussione vi sono richieste infungibili, diritti inalienabili, sostanza di vita. Venendo meno alla sua funzione primaria. E i cittadini si ritrovano annichiliti di fronte al frastuono di parole vuote e insignificanti.
Una prospettiva importante di “risalita” sembrerebbe poter essere l’uso dei soldi pubblici, provenienti sia dall’Europa che dalla programmazione ordinaria finalizzata a garantire la coesione nazionale.
Ma non sembra si vada in questo senso quando si stanziano altri 50 milioni per l’ennesimo studio di fattibilità per il Ponte sullo Stretto di Messina, piuttosto che prorogare i contratti di lavoro a termine (previo accordo con i sindacati). Così si accentua solo la precarietà del lavoro e l’inutilità di opere faraoniche che fanno bene solo a chi le costruisce. Non a caso su queste due vicende Confindustria gongola ed esterna “felicità”.
Se nel Mezzogiorno finanche le nuove generazioni a fronte di malattie non avranno la possibilità di curarsi correttamente a casa propria, nè di poter usufruire di una istruzione di qualità e al passo con l’Europa, significa che stiamo contribuendo a immiserire questa parte del paese e a determinare una perdita di chances irrecuperabile. Rinunciare a curarsi per mancanza di reddito e surrogando la scuola in presenza con quella da remoto, stiamo consegnando alla storia le maledizioni di questo mondo a quelli che verranno.
La politica, questa politica, sta dando rappresentanza all’egoismo territoriale, accentuando le disparità con forme di presunta autonomia, lasciando al proprio destino chi è in difficoltà.
Ovvero, chi è in grado di provvedere a se stesso si chiude nel proprio territorio (Nord), senza salvaguardare chi è più indietro (Sud). Salta completamente, così facendo, uno degli elementi fondamentali della coesione territoriale: la solidarietà.
Un tempo gli agenti della mediazione sociale si impegnavano a discutere e prospettare condizioni di vita migliori, a veicolare la complessa domanda sociale verso opzioni di massa. Oggi i “figli” di quegli agenti è già troppo se parlano a se stessi. Il terreno d’agire è canalizzare il generale e non il particolare, senza spargere odio sociale nell’ingranaggio della vita.
In ultima analisi, va respinta quella modalità di concepire l’altro e il suo bisogno come contrapposizione ai propri interessi, come fermo alla propria scalata di successo, generando così la diseguaglianza dei diritti, l’ultima cosa che dovrebbe permettere la politica.
È appena il caso di ritornare sui banchi di scuola a prendere lezioni sulle fondamenta della politica e dei rapporti umani.
di Raffaele Carotenuto