Con largo margine di voti, espressi con la modalità segreta, il Senato della Repubblica ha sostanzialmente “bocciato” il Ddl Zan, l’oramai arcinoto disegno di legge che mira a punire i reati più severi in materia di omotransfobia. Al di là del titolo e della gamma delle idiosincrasie in esso contenute, il decreto che porta il nome di Alessandro Zan, parlamentare del Pd dichiaratamente omosessuale, è tutto incentrato sulla lotta alle discriminazioni omotransfobiche, ovvero l’odio nei confronti di chi segue pratiche sessuali diverse, oppure vive una diversa condizione di genere rispetto a quella natìa. Ora, nulla di male in una nazione che ha già riconosciuto ed equiparato l’orientamento sessuale e la condizione di cambiamento di genere a tutte le altre, che ha legiferato sui matrimoni omosessuali e sulle adozioni di figli (a determinate condizioni) da parte di questi ultimi. Una nazione che ha già previsto nel proprio codice penale, le aggravanti per i delitti che nascono sulla base delle discriminazioni e più in generale della diversità di genere. Tuttavia è evidente che alla vasta comunità Lgbt (Lesbiche Gay Bisessuali e Transessuali) tutte queste tutele non sono state ritenute sufficienti, per la semplice ragione che intendono forzare la mano per ottenere la perfetta equiparazione con coloro i quali vivono e praticano un rapporto eterosessuale oppure sono rimasti nello stesso genere di “partenza”, senza cioè ottenere alcuna modifica in itinere. Non mi inoltro sulla strada della biologia e della fisiologia umana, di cosa occorra in natura per garantire la sopravvivenza della specie umana o su come l’omosessualità non potrà mai essere, almeno non su questo piano, nella stessa categoria di coloro i quali hanno gli strumenti per poter procreare secondo natura. D’altronde concepire figli rientra nel novero delle cose che sono in accordo con la storia millenaria della vita e non ha niente a che fare con le pratiche embriologiche che garantiscono, mediante un artificio medico biologico, la fabbricazione di essere umani. Tutto questo dovrebbe avere un peso nella valutazione e nella comparazione delle sue diverse situazioni ma tant’è, andiamo avanti nel ragionamento.
Quel che il Ddl Zan proponeva (e che era poco condivisibile), è rappresentato dalla mistificazione della fisiologia umana, attraverso la pratica delle teorie gender, con l’aggiunta della limitazione di alcuni diritti civici e politici. La teoria gender deriva dalla moda semantica e culturale che si chiama “politicamente corretto” e che pretende di dettare norme di linguaggio e di atteggiamento che siano conformi alle idee di quanti hanno la pretesa di dettare nuovi valori agli altri, pena la classificazione tra i non emancipati se non proprio tra i trogloditi. Spazzare via le opinioni e le espressioni solo perché ritenute anacronistiche in quanto radicatesi negli anni, diventa un atto di presuntuosa quanto infondata pretesa di dettare una nuova etica pubblica conformandola al proprio diverso modo di valutare le cose. Affermare che la famiglia naturale è etero sessuale, utilizzare espressioni rispettose ma chiare sulla diversità di genere, viene etichettata non come diversa e rispettabile opinione ma come sintomo di un ritardo culturale. Da questa posizione pretenziosa e faziosa di voler eliminare la diversità e la naturalità dei modi di essere o di vivere la sfera sessuale, nasce la teoria gender. In pratica: abituare i bambini, prima che gli adulti, che non esistono differenze di genere e che il principe possa diventare naturalmente principessa. Che la famiglia possa essere composta non da un padre e da una madre ma dal “genitore 1” e dal “genitore 2” quasi che si debba aver timore di professare la paternità e la maternità anche nella diversa funzione biologica che queste poi svolgeranno in futuro.
Che una famiglia composta da due genitori maschi oppure femmine rientri nel novero delle cose legittime è un conto, ma che sia naturale ed equiparabile a quella eterosessuale è una palese menzogna. Introdurre in una legge dello Stato, il divieto di partecipare ad attività politiche per aver infranto il codice con espressioni grevi e discriminatorie verso i diversi, sembra senz’altro una esagerazione, una disarmonia tra norma violata e precetto imposto. E che dire poi della pena che il reo dovrebbe scontare facendo volontariato presso le associazioni Lgbt!! Quasi fossero servizi sociali. Insomma si è andato ben oltre il senso della misura per quel “peccato originale”, quella primordiale rivendicazione nei confronti di quanti la pensano diversamente sulla questione. Che occorra combattere violenze e discriminazioni di ogni genere è un atto di civiltà, che le diversità debbano essere ritenute fisiologiche e finanche auspicabili in nome della emancipazione è una grande scemenza. Il Senato lo ha capito in un sussulto di libertà.