Correttivi al Rdc, c’è il rischio di sfruttamento

Raffaele Carotenuto

Con la discussione del Documento Economico e Finanziario (DEF) ritorna di attualità il dibattito sul reddito di cittadinanza, Un apposito Comitato scientifico, presieduto dalla sociologa Chiara Saraceno, ha formulato delle proposte di modifica all’attuale impostazione della misura di inclusione sociale. La parte di variazioni proposte che qui interessa analizzare, riguarda l’accompagnamento al lavoro dei soggetti percettori del Reddito. A tal proposito si propongono tre correttivi sostanziali: 1) la riscrittura del cosiddetto “lavoro congruo”; 2) gli incentivi ai datori di lavoro; 3) i Patti per l’inclusione.
Sul primo punto, per lavoro congruo si intendono quei lavori di breve durata (mensili, trimestrali), ovvero una spinta verso l’esaltazione dei lavori precari, di brevissima durata e con la compressione delle misure minime volte a preservare la dignità del lavoro (e di conseguenza del lavoratore). Magari con proposte fatte lontane da casa, a centinaia di chilometri, per alcuni mesi e sottopagate.
Il passaggio degli incentivi ai datori di lavoro definisce la fine dell’autonomia dei percettori della misura assistenziale, spostando le cifre per il Reddito dalle famiglie alle imprese, con il presupposto della creazione di posti di lavoro che, nella cornice di cui al punto 1), finiscono per essere impieghi per lo sfruttamento della persona. Questo correttivo incontra immediatamente la crisi di liquidità delle imprese, a seguito della pandemia da Covid-19, sulla scia della legislazione di emergenza, con misure quali decreto liquidità, regimi di aiuti temporanei, plafond dedicati, finanziamenti a fondo perduto, etc. Non mi pare che ciò abbia storicamente funzionato, specialmente per il Mezzogiorno, visto che la pandemia ha dimostrato esattamente il contrario: gli aiuti pubblici non hanno arrestato l’emorragia della perdita di posti di lavoro. Tant’è che già prima della crisi sanitaria si argomentava di un riordino di tutti gli incentivi alle attività economiche nelle aree depresse.
Il terzo punto dei Patti per l’inclusione prevede un rafforzamento degli organici dei servizi sociali comunali, per probabili progetti di utilità collettiva. Anche qui, la maggior parte dei Comuni del Sud presentano una latente crisi di liquidità che non permette nemmeno di assicurare i servizi pubblici necessari ed insopprimibili; peraltro, la maggior parte di essi sono in condizione di pre-dissesto, poiché enormemente indebitati verso banche, imprese e Stato centrale. La logica conseguenza che il Governo non comprende è che questi Comuni sono limitati nell’assumere personale qualificato come assistenti sociali (e non solo) per l’imposizione del contenimento della spesa a tal proposito.
Che la misura erogatrice del reddito di cittadinanza vada rivista, anche alla luce degli ultimi fatti balzati alla cronaca su alcuni soggetti assegnatari, tanto del nord quanto del sud, indebitamente fruitori, è indubbio, ma non in questa ottica fuorviante e penalizzante rispetto a quello che è e deve rimanere il principio base della misura. In un linguaggio “vetero” si direbbe che questa discussione si stia spostando pesantemente “a destra”, ovvero l’attacco al Reddito avviene in una cornice liberista, agganciando chi deve produrre lavoro stabile e sicuro (imprenditori), ad una misura che in Italia nasce sostanzialmente per combattere la povertà (disoccupati). Lo sviluppo di una nazione dovrebbe essere garantito dai privati, ma con una regia del pubblico, poiché allo Stato è affidato il compito di mediare tra interessi concorrenti. In definitiva, lo sviluppo e l’occupazione non vanno delegati al mercato e alla libera concorrenza, perché quest’ultimi non garantiscono spazi di cittadinanza, luoghi di democrazia e avanzamento dei territori e delle comunità locali.
Questa operazione tutt’al più produrrà un esercito di “proletariato esterno”, così come lo inquadrò il meridionalista Nicola Zitara. Un massa di riserva collocata fuori dal ciclo produttivo ispirata da uno sviluppo liberista, ovvero una marea di “disorientati sociali”, fuori dalle compatibilità padronali e sindacali. Perché queste decisioni sono a-politiche, ovvero non mediate dai partiti politici, che sonnecchiano, che non producono più linee di pensiero autonomo e capacità di presa sui cittadini.
In definitiva, il sud si ritroverà ancor più prepotentemente nell’idea del processo di “mezzogiornificazione” imposto dall’UE, ovvero all’interno di decisioni prese da burocrati, senza saper combattere un quadro generale di crisi economica, sociale e politica, se non attraverso la produzione di nuovo debito.
Ed il nord, ancora una volta, sarà in grado di riprodursi ai danni dell’altra Italia.

di Raffaele Carotenuto

Scrittore e meridionalista

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