In ore di festa e riposo è beato colui che può riprendere qualche lettura, rinnovare la mente e ritemprare lo spirito alla luce del sapere. Nel mio caso, l’occhio è caduto su un vecchio libro scritto dal cardinale Giacomo Lercaro, arcivescovo di Bologna per 15 anni, prima di essere defenestrato da Paolo VI senza che se ne siano mai rivelate le motivazioni. Lercaro fu mandato in quella città, in piena guerra fredda, un periodo in cui la cosiddetta “cortina di ferro”, come la chiamò Winston Churchill, segnava metaforicamente la divisione tra l’influenza che Urss e Usa esercitavano sull’Europa. Il porporato fu delegato a rilanciare il messaggio del Vangelo nella diocesi più rossa d’Italia ove dominavano, elettoralmente, il partito comunista e la figura di Giuseppe Dozza, sindaco per tre lustri, che ebbe in Lercaro un tenace contraddittore. Era il tempo in cui Giovannino Guareschi pubblicava sul “Candido”, giornale anti comunista, le storie di don Camillo e Peppone che, verosimilmente, si ispiravano, appunto, proprio alle figure di Lercaro e Dozza. Altro personaggio di spicco di quegli anni era Giuseppe Dossetti, leader della corrente democristiana dei cattolici democratici, che vedevano nel socialismo un modello di società e di economia più vicino al retaggio dei valori cristiani. All’interno dello scudocrociato costoro si opponevano al popolarismo liberale degli eredi di don Luigi Sturzo. Una deriva che portò Dossetti a farsi prete e la Dc a snaturarsi ideologicamente. Storie di passioni politiche accese e di valori contrapposti costituivano, in quegli anni figli del dopoguerra, l’essenza stessa della militanza partitica di un’epoca in cui ancora erano fresche le ferite lasciate dal conflitto bellico. Tempi nei quali il mondo era diviso in due grandi blocchi politici e modelli di società e di economia aspramente alternativi. Il cardinale Lercaro, uomo forte e carismatico, organizzò e rilanciò la chiesa bolognese sia sul piano ecclesiale sia su quello del rilancio dei valori ideali, scendendo in campo durante le elezioni politiche nelle quali fu uno degli alfieri della propaganda anti comunista. Uomo illuminato, fu chiamato da Papa Giovanni XXIII nella commissione preparatoria delle tesi conciliari, quella chiamata ad elaborare gli argomenti pastorali e dottrinali che dovevano poi essere discussi dai padri conciliari. L’arcivescovo di Bologna aveva lo stesso spirito combattivo sia nel contrapporsi all’ateismo marxista sia nel sostenere una visione della Chiesa che fosse in grado di privilegiare umiltà e carità verso i poveri, in aperto contrasto con la parte più tradizionalista e conservatrice della curia vaticana. Proprio quest’ultima aveva sostenuto l’elezione a Pontefice di Angelo Giuseppe Roncalli credendo che costui potesse essere un Papa di transizione data la sua età avanzata, rimandando, in tal modo, ad altra data lo scontro interno tra progressisti e conservatori in Vaticano. Tuttavia Roncalli, pur nel breve periodo di mandato, convocò il Concilio Vaticano II, aprendo la Chiesa alla modernità materiale e spirituale, rendendola più attenta alla pace nel mondo ed alle sorti dei derelitti. Una delle riforme più sostanziali prodotte dal “Vaticano II” fu l’adeguamento dottrinario con il particolare della messa celebrata nelle varie lingue del mondo e non più solo in latino. Lercaro sposò in tutto e per tutto le tesi del Concilio, ovvero ridare sia alla fede sia alla dottrina sociale della Chiesa l’adeguato, giusto risalto. Lo spirito giovanneo e l’afflato conciliare colsero l’essenza di doversi dire cristiani nella concezione migliore: quella di affermare che la libertà e la fede potessero camminare insieme, che la difesa della prima comportasse anche quella della seconda. Un messaggio che, insieme all’evangelizzazione in ogni angolo della Terra, paesi comunisti compresi, Giovanni XXIII sintetizzò nell’enciclica “Pacem in Terris”, con la dichiarata esigenza, anche politica, di superare il regime del terrore atomico e dell’odio internazionale. Per quanto determinati nel combattere i princìpi morali e materiali del comunismo e delle sue tragedie liberticide, questi uomini seppero lanciare un appello che fu raccolto dai grandi della Terra. Si aprì con loro una nuova era di distensione e del confronto tra le super potenze militari ed i blocchi ideologici: il mondo intero trasse un sospiro di sollievo. Cosa sia rimasto oggi di quella prospera stagione e chi siano gli eredi degni di quelle menti superiori, francamente, è difficile dirlo. Con l’anno che volge al termine, ancora in guerra con un’epidemia che ha mietuto due milioni di vittime nel mondo, quei principii si esaltano e contestualizzano ai tempi moderni. La rivendicazione dei valori antichi come la solidarietà, la fratellanza tra i popoli, l’ascolto e la collaborazione reciproca, la pace come bene della umanità, restano i capisaldi per un futuro migliore. Senza il ritorno appieno di questi valori etici gli auguri di ogni futuro bene suonano beffardi e inutili.