Omicidio dopo la bomba. Scacco ai De Micco: 6 fermi

NAPOLI – Uno tsunami nelle palazzine a Ponticelli. Sei fermi. In carcere Marco De Micco, detto Bodo, ritenuto il capoclan. La madre indagata a piede libero. Per la Procura, è scacco matto alla cosca, che fino a oggi ha fatto il buono e cattivo tempo (più il secondo). Il decreto è della Direzione distrettuale antimafia. E punta dritto all’omicidio di Carmine D’Onofrio, figlio di Giuseppe De Luca Bossa. Un delitto eccellente. Vero spartiacque, perché segna la fine della guerra: un colpo da novanta. Così i Bodo si sono imposti nel quartiere. Ma da allora la magistratura non si dà pace e raccoglie elementi e testimonianze. Un passo è stato fatto ieri notte, con il blitz della squadra mobile, dei carabinieri e del commissariato. L’accusa è chiara: Marco De Micco è considerato il mandante. Giovanni Palumbo, Ciro Ricci, Ferdinando Viscovo, Salvatore Alfuso e Giuseppe Russo junior avrebbero “partecipato alla deliberazione e organizzazione dell’agguato, effettuato sopralluoghi e appostamenti per rintracciare la vittima, procurato l’auto Nissan Qashqai, individuato il momento per colpire la vittima, segnalando gli spostamenti agli esecutori materiali e assicurato a questi la fuga dopo l’omicidio”. Insomma tutto pianificato nei dettagli, stando alla versione della Procura. Non solo. Sono due le vicende analizzate dagli inquirenti. Ed ecco la seconda: Marco De Micco, la madre Maddalena Cadavero, Giovanni Palumbo e Ciro Ricci sono accusati di aver condotto un amico di Carmine D’Onofrio al cospetto del capoclan la sera del trenta settembre. Preso a schiaffi, per costringerlo a rivelare il responsabile dell’esplosione dell’ordigno davanti alla abitazione della famiglia De Micco in via Piscettaro due giorni prima. Per la Dda, tutto è collegato. La ricostruzione è da brivido. Si parte dalle registrazioni delle microspie nell’abitazione del boss: qui l’amico di Carmine D’Onofrio viene convocato e percosso più volte. Marco De Micco vuole sapere con chi fosse, quando aveva piazzato la bomba (dice che ha un video, che lo incastra). E alla fine il ragazzo si piega, fa il nome di ‘Carmine’. Subito dopo il ras gli chiede: “E’ davvero lui?”. Ma la conversazione nell’ambientale è poco chiara. Quello che è certo è che il trentottenne chiede a Giovanni Palumbo e Ciro Ricci di andare “in fondo sotto all’Arco”. Dialogo captato dall’ambientale, che i magistrati sottolineano in grassetto nel provvedimento cautelare. Per un motivo: Carmine D’Onofrio abitava sotto ai porticati in via Crisconio. E dai dialoghi pare, che Palumbo e Ricci escano dalla palazzina subito dopo, per cercare una persona, che poi non trovano. Carmine D’Onofrio sarà ucciso la notte del sei ottobre sotto casa in via Crisconio. Ecco le persone fermate ieri: Marco De Micco, ritenuto il mandante dell’omicidio, Salvatore Alfuso, 45 anni, Maddalena Cadavero, 66 anni (il fermo è stato revocato dal pm ed è indagata a piede libero), Giovanni Palumbo, detto o piccione, 27 anni, Ciro Ricci, 26 anni, alias ’o panino, Giuseppe Russo junior, 23 anni e Ferdinando Viscovo, 35 anni. De Micco e Cadavero sono difesi dall’avvocato  Stefano Sorrentino.

L’ordigno esploso davanti l’abitazione del ras

E’ il punto di non ritorno. Per usare parole di un investigatore. La notte del ventotto settembre polizia e carabinieri non chiudono occhio: temono una escalation nel quartiere Ponticelli. E hanno ragione. Un ordigno è appena esploso davanti a una palazzina in via Piscettaro, dove abita la famiglia De Micco. Un affronto alla cosca, che ha vinto la faida con i De Luca Bossa-Minichini-Casella. Non poteva passare sottotraccia. Così è stato. Un assalto eclatante. Deflagrazione devastante. Una donna e il figlio di 14 anni feriti dalle schegge di vetro. Lo scoppio in via Luigi Piscettaro mandò in frantumi la vetrata esterna di un intero edificio. Gli agenti trovarono uno scenario di guerra, in tempo di ‘pace’. Madre e figlio erano in casa al momento dell’esplosione alle 21 e 50. Si disse subito che fosse tornata la stagione delle bombe. Nei mesi precedenti il quartiere era stato teatro di una faida cruenta tra i due ‘cartelli’. Dunque non era finita. Anzi, era appena cominciata. E i De Micco-De Martino erano militarmente pronti a un confronto bellico in campo aperto. Mentre i rivali erano relegati nelle palazzine al Lotto 0. Dunque i Bodo avevano una posizione di vantaggio, che hanno sfruttato subito dopo. I magistrati lo ripetono più volte del decreto di fermo: si tratta di un  gruppo con una struttura verticistica. Bene organizzato. Così lo descrivono gli inquirenti. Le decisioni più importanti sono adottate dalla catena di comando e non sono ammesse ingerenze. I De Micco-De Martino sono da sempre una cosa sola. Soprattutto nei momenti più difficili. Tanto che l’ordigno in via Piscettaro non li avrebbe spaventati più di tanto. La Procura si aspettava di tutto da quel momento in poi. Anche perché a maggio di bombe ce n’erano state tre in quattro giorni (per uno di quegli attentati erano stati fermati 3 uomini dei De Luca Bossa–Casella). Insomma qui le cosche sono avvezze all’uso di armi non convenzionali. Ma l’attentato davanti casa dei Bodo rappresenta un cambio di passo nella faida. I magistrati della Dda lo hanno descritto bene nel provvedimento cautelare: pochi giorni dopo l’esplosione ci furono riunioni concitate e ‘convocazioni di persone informate dei fatti’ nel bunker dei de Micco. Lo sanno perché l’abitazione era disseminata di microspie. E gli investigatori hanno potuto ascoltare cosa succedesse nell’appartamento. Certo, si tratta di accuse. Gli indagati potranno chiarire la loro posizione. Intanto la Direzione distrettuale antimafia traccia uno spaccato inquietante. Quell’attentato dinamitardo avvenne a 50 metri da, “dove sorge il monumento per le vittime innocenti dell’agguato dell’11 novembre del 1989, quando una paranza di killer fece fuoco all’esterno del bar gelateria Sayonara”. Così  il Comitato di liberazione della camorra – Disarmiamo Ponticelli, al quale aderiscono associazioni e cooperative di cittadini (tra gli altri, il senatore Sandro Ruotolo). La popolazione prese posizione e scese sul piede di guerra: “Sappiamo che la battaglia per liberare Ponticelli dall’arroganza della camorra è lunga. Al terrore continuiamo a rispondere con la mobilitazione e le iniziative messe in campo in questi mesi. Il nostro appello lo rivolgiamo alle istituzioni e alle forze dell’ordine per mettere in sicurezza il territorio”. Ma i clan avevano preso la loro decisione. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome