L’urlo anticamorra della masseria Ferraioli: no al pizzo

L'urlo anticamorra della masseria Ferraioli: no al pizzo
L'urlo anticamorra della masseria Ferraioli: no al pizzo

AFRAGOLA – Un coro unanime: “No al pizzo”. Ieri mattina le associazioni anticamorra del Napoletano si sono strette intorno (e ritrovate) a Masseria Ferraioli, bene confiscato alla criminalità organizzata finito di recente nel mirino degli ‘specialisti’ del pizzo. A capitanare la mobilitazione, il comitato di liberazione dalla camorra dell’area nord, nato in seguito all’escalation di violenza scoppiata in provincia, con la faida che ha terrorizzato soprattutto i territori di Arzano, Frattamaggiore e Frattaminore. Presenti il senatore Sandro Ruotolo e il parroco don Maurizio Patriciello, quest’ultimo sotto scorta dalla bomba scoppiata contro la sua parrocchia nel Parco Verde di Caivano. Il presidio è una risposta alla richiesta estorsiva ricevuta da un volontario di Masseria Ferraioli (un tempo di proprietà del clan Magliulo, rivale del clan Moccia) nella giornata del 17 maggio. Mettersi in regola “con gli amici”, il messaggio recapitato da un estorsore che ha fatto scattare l’allarme, prontamente inoltrato agli investigatori dell’Arma dei carabinieri. Alla manifestazione di solidarietà ha preso parte anche la Cgil, con in prima linea il segretario Nicola Ricci: “Siamo ad Afragola – ha detto ieri mattina in presa diretta – per ribadire che la Masseria Antonio Esposito Ferraioli è un bene della collettività e, per la Cgil che la sostiene, rappresenta l’occasione di riscatto di un territorio e di una città che ha sofferto per anni la presenza della malavita e del malaffare. Non ci faremo intimidire da episodi estorsivi: saremo qui ogni volta che sarà necessario, anche tutti i giorni, per difendere questa realtà dall’attacco della criminalità”. “Chi tocca la Masseria Ferraioli, tocca tutti noi”, lo slogan gridato dai promotori dell’iniziativa. Lo scorso 17 maggio un uomo si è presentato sul posto asserendo di essere appena uscito dal carcere e ha chiesto un contributo per “non sbagliare più”. Ha avvicinato un volontario del bene confiscato chiamandolo per nome e cognome e specificando che “degli amici” gli avevano suggerito di recarsi lì. Solo dopo numerosi rifiuti si è allontanato in malo modo. Una chiara richiesta di pizzo che non deve fermarsi alla denuncia alle forze dell’ordine, subito effettuata. Quella di ieri è stata anche l’occasione, per i gestori, “per ribadire ancora una volta che il cantiere del Pon Legalità deve essere terminato in tempi certi e che lo svincolo autostradale per raggiungere l’Ikea di Afragola dovrà essere realizzato in un’area diversa per garantire la sopravvivenza del bene confiscato più grande dell’area metropolitana di Napoli”. L’area nord è tra le più sensibili al fenomeno del racket. Ma il vento sta cambiando: sono sempre più numerosi i casi di imprenditori e negozianti che trovano il coraggio di opporsi alle logiche criminali. Proprio come fece il giovane a cui è intitolato la masseria. Antonio Esposito Ferraioli era un cuoco di Pagani, provincia di Salerno. A 27 anni lavorava nella mensa della Fatme-Ericsson. Amava deliziare i colleghi con le sue creazioni gastronomiche. Era così legato alle sue ricette che se le appuntava con minuzia in un diario. E aveva la schiena dritta, ‘Tonino’, tanto che quando notò della carne scaduta nel retrobottega della cucina, non riuscì a farselo andare bene. Non avrebbe mai sporcato la sua arte con dei prodotti pericolosi. Non avrebbe mai messo a repentaglio la salute dei suoi amici. Decise, quindi, di parlare. Ma la sua denuncia andò di traverso ai ‘bravi’ della zona. Così, alle 2 di notte del 30 agosto del 1978, fu freddato a colpi di lupara sotto casa della sua fidanzata, con la quale si era incontrato per mettere a punto gli ultimi preparativi per il matrimonio in programma di lì a un mese. Sono passati quasi 44 anni dall’ultimo piatto cucinato da Antonio, eppure il suo coraggio si respira forte ancora oggi. Precisamente ad Afragola, in quella che fu la masseria del clan Magliulo, il casolare dell’organizzazione criminale regina prima della faida persa per mano dei Moccia negli anni ’90, riconsegnato dopo la confisca alla collettività e gestito da una rete di organizzazioni, associazioni, scuole e cooperative del territorio. 

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