ROMA – Quando Mario Draghi entra a palazzo Madama per le comunicazioni da fare all’assemblea prima del Consiglio europeo la risoluzione di maggioranza è appesa a un filo e nei due rami del Parlamento deputati e senatori vicini a Luigi Di Maio stanno raccogliendo le firme per creare dei gruppi autonomi, ‘Insieme per il futuro’, che andrebbero a ridisegnare pesi e contrappesi all’interno della coalzione che sostiene il Governo. Preoccupato per la tenuta della maggioranza? domandano i cronisti. “Non lo so, vediamo”, si limita a rispondere il premier.
Il muro contro muro iniziato ieri pomeriggio va avanti per tutta la mattinata e l’accordo rischia di vacillare proprio all’ultimo miglio, tanto che c’è chi – come Pier Ferdinando Casini – propone di approvare un testo secco: “Sentite le comunicazioni del presidente del Consiglio il Senato approva”. Significherebbe andare alla conta e, in ogni caso, non è quello che vuole palazzo Chigi. Le parole del presidente del Consiglio in Aula, allora, sono misurate ma decise. Draghi ricorda le “devastazioni” viste con i propri occhi durante la visita a Kiev e le richieste arrivate da Volodymyr Zelensky. “Ci ha chiesto di continuare a sostenere l’Ucraina per poter raggiungere una pace che rispetti i loro diritti e la loro volontà. Solo una pace concordata e non subita può essere davvero duratura”, ribadisce.
Muovendo da questa premessa, detta la linea: “Il Governo italiano, insieme ai partner dell’Ue e del G7, intende continuare a sostenere l’Ucraina così come questo Parlamento ci ha dato mandato di fare”, mette subito in chiaro e il concetto è l’ultimo che il premier ribadisce prima di lasciare la parola ai senatori. “L’Italia continuerà a lavorare con l’Unione europea e i nostri partner del G7 per sostenere l’Ucraina, ricercare la pace, superare questa crisi. Questo – sottolinea pesando le parole e mandando segnali chiari alla maggioranza – è il mandato che il governo ha ricevuto dal Parlamento, da voi. Questa è la guida per la nostra azione”.
Mentre Draghi parla, il ministro per gli affari europei Enzo Amendola è ancora al lavoro per definire un testo che metta insieme tutta la maggioranza. La misura del livello di difficoltà della sfida la raccontano alcuni presenti con un’immagine: “Ha lasciato la sigaretta elettronica e ha iniziato a fumare quelle di tabacco”, scherzano. Il suo sforzo per una “mediazione all’insegna dell’unità”, però, alla fine riesce. In calce al testo ci sono le firme di tutti i gruppi e in aula tutto fila liscio, tanto che il premier ringrazia il Senato “per il sostegno” ricevuto, un sostegno – la sottolineatura – “a continuare sulla strada disegnata dal DL 14 del 2022”. E’ stato proprio il riferimento al decreto Ucraina, che di fatto consente l’invio di aiuti, anche militari, a Kiev, fino al 31 dicembre 2022, a causare il braccio di ferro con i contiani e gli esponenti di Leu.
L’inquilino di palazzo Chigi, quindi, in qualche modo rivendica la vittoria, sottolineando come alla fine il sostegno sia stato “unito e l’unità – è l’inciso – è essenziale specialmente in questi momenti”. Draghi ne fa una questione “quasi personale”: in questi momenti, “quando il Paese è sia pure indirettamente coinvolto in una guerra, le decisioni che si devono prendere sono molto complesse, sono decisioni profonde, che hanno risvolti anche morali. Per cui avere il sostegno del Senato nel prendere queste decisioni è molto, molto importante per me. Grazie”, conclude.
Quando lascia palazzo Madama la risposta ai cronisti cambia. Preoccupato? “No”, risponde abbozzando un sorriso. Del resto, viene fatto notare da chi è vicino al premier, chi – come Giuseppe Conte – voleva sfidare il Governo, alla fine ha perso la sfida e ne è uscito indebolito (anche nei numeri), nessuna deviazione è stata presa rispetto alla rotta euro-atlantica e la risoluzione della maggioranza è stata unitaria.
Quanto ai nascenti gruppi di Di Maio, “sono i primi apertamente filo Draghi e questo può dare stabilità”. Certo, da adesso in poi il M5S non sarà più il partito di maggioranza relativa in Parlamento e sarà la Lega a diventarlo. Alla Camera, infatti, il Movimento conta fino ad oggi 155 deputati, a fronte dei 132 del Carroccio, e sarebbero poco meno di una quarantina a seguire il titolare della Farnesina.
A palazzo Madama invece i pentastellati sono 72, mentre i senatori guidati da Matteo Salvini sono 61 e in questo caso sarebbero in 13 a lasciare il gruppo nel quale sono stati eletti per accasarsi con Di Maio. “A differenza di altri, la Lega non è ossessionata dalle poltrone e non chiederà mezzo posto in più: ci preme l’approvazione di Decreti urgenti come quelli su energia, carburanti e siccità”, si affretta a dichiarare Matteo Salvini, alla luce dei nuovi equilibri, ma dalle parti di via Bellerio non si esclude che nelle prossime settimane il Carroccio potrebbe “passare all’incasso”. Dalle parti di palazzo Chigi, però, nessun rimpasto è dato all’orizzonte.(LaPresse)